Camici stanchi, devastati da un lavoro male organizzato e poco retribuito. Lo sciopero di ieri non è soltanto la sintesi di una delle tante vertenze sindacali del personale sanitario, è la storia del sistema-salute nazionale, malridotto ovunque, e qui, nel Mezzogiorno, completamente piegato dall’improvvisazione e dal caos, con i livelli di assistenza che restano confinati negli abissi di statistiche spietate. E il Covid non c’entra, ha solo esasperato quei limiti che erano già emersi chiaramente in precedenza. Di quei giorni sotto assedio di malati e di tensioni, sopravvive il ricordo di medici e infermieri, già crocifissi al ruolo di eroi, costretti a fare i conti con la paura. L’angoscia di ritrovarsi con reparti pieni e ambulanze in fila in attesa di scaricare i pazienti all’interno dei Pronto soccorso male organizzati e senza più posti. Il biennio di pandemia è sfociato dentro un pantano che nel Sud del Sud dell’Italia resiste al tempo nell’impossibilità di garantire cure e assistenza al netto delle differenze territoriali. Ieri i camici bianchi hanno incrociato le braccia. Lo hanno fatto seguendo lo spartito dell’Anaao-Assomed e del Cimo contro i tagli a un comparto che vive una crisi irreversibile, le sforbiciate alle pensioni e le assunzioni che vengono distillate in un alambicco troppo stretto. Il leader regionale di Anaao-Assomed, Luigi Ziccarelli, parla di larga adesione all’Annunziata con diversi reparti che hanno garantito i servizi essenziali e le urgenze con i medici precettati.
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