I penitenziari vulnerabili. Permeabili dalle organizzazioni mafiose e dalle bande criminali che infestano la regione. Non c’è giorno che non vengano ritrovati telefonini cellulari entrati nella disponibilità dei detenuti dei settori di alta e media sicurezza delle nostre carceri.
Due settimane fa, nella casa circondariale di Corigliano Rossano, i poliziotti della penitenziaria ne hanno sequestrati in un sol colpo ben 130. E con gli strumenti di comunicazione sono stati pure trovati coltelli e stupefacenti. Il blitz ha dato la stura a mirate indagini ancora senza esito: chi aveva favorito l’ingresso in una struttura di detenzione di un numero così elevato di cellulari? Di quali colpevoli distrazioni hanno goduto i beneficiari? Domande senza risposta. Almeno per il momento. La cosa clamorosa, però, è accaduta l’altro giorno: nello stesso istituto di reclusione teatro dell’imponente blitz, un agente ha sorpreso un detenuto mentre, come se fosse nel salotto di casa, conversava amabilmente in cella al telefono con un amico ch’era in un’altra zona della Penisola.
Introdurre o possedere illegalmente un apparecchio di telefonia mobile in carcere costituisce un reato punito con una pena che va da 1 a 4 anni di reclusione. La norma varata dal Parlamento, però, non scoraggia evidentemente i fruitori del... servizio. E la circostanza appare tanto chiara che da mesi si parla della necessità di “isolare” i penitenziari attraverso i sistemi di schermatura. Sistemi largamente usati dall’esercito durante le più delicate operazioni militari in territorio estero e dalle forze dell’ordine in occasione di complesse indagini.
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