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Cosenza, una città sempre più vuota e anziana

L’attuale crisi economica (solo nel centro storico sono sparite nell’ultimo anno 31 imprese) potrebbe degenerare. Le cicogne lavoreranno di meno (440 in meno in 18 anni) e il tasso di crescita crollerà a -7,4%

I graffi della crisi sono in tutte quelle saracinesche chiuse, nelle insegne di tanti negozi che non si illuminano più. Uno dopo l’altro, i piccoli imprenditori della città si arrendono dopo l’ultima bolletta o l’ennesimo prestito negato dalle banche. Una resa silenziosa che affiora dai report. Solo nel centro storico, tra il 2022 e il 2023, sono stati celebrati 31 funerali di imprese commerciali, secondo i dati di Confcommercio. Un declino che non riguarda solo il commercio ma che riflette quella sensazione di abbandono generale. Qui tutto diventa difficile, a volte impossibile. Questa è la terra dei ritardi, una terra che i politici hanno riempito esclusivamente di promesse. In realtà, dal Pollino in giù, comincia un’altra Italia, un’Italia che si muove lentamente con un Pil che non cresce mai, una disoccupazione reale che non conosce limiti, una povertà che dilaga. E, poi, ci sono i diritti negati. C’è quello alle cure che costringe la gente a partire (le spese per la mobilità passiva sono tornate a superare i 300 milioni di euro nel 2023), e c’è quello dei trasporti lumaca. Da tempo si sta progettando il risanamento di una rete ferroviaria malconcia con treni che accumulano ritardi spaventosi e corse cancellate all’improvviso tra l’indifferenza generale. I treni vanno avanti e indietro, costano sempre di più e funzionano sempre di meno. La verità è che su questa zolla estrema dell’Italia si è sempre sofferto e si continuerà a soffrire per l’abbandono delle giovani generazioni. Una fuga da una terra schiacciata dalla disoccupazione e dalla oppressione della ’ndrangheta. Lo avevano già fatto i contadini dopo il fallimento della riforma fondiaria, lo stanno facendo in questa epoca i nostri ragazzi che corrono dietro ai loro sogni. E qui restano solo gli anziani, con un ricambio sempre meno scontato.

Profondo rosso

Quanto stia invecchiando la città lo rivela l’indice di ricambio della popolazione attiva (che è costituito dal rapporto percentuale tra la fascia di popolazione che sta per andare in pensione, tra i 60 e i 64 anni, e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro, tra i 15 e i 19 anni): nel 2023 ha chiuso a quota 171,4 rispetto al 169,7 registrato del 2022 e al 162,4 del 2021. E continua, pericolosamente, a crescere anche l’indice di dipendenza strutturale della popolazione (che è costituito dal carico sociale ed economico della popolazione non attiva under 15 e over 65) definisce 58,4 individui a carico di 100 persone che lavorano (nel 2022 erano 58,1, e nel 2021 58). A chiudere definitivamente il giro d’orizzonte sull’anagrafe sempre più pesante degli occupati è l’indice di struttura della popolazione attiva che rappresenta il grado di invecchiamento della popolazione in età lavorativa e si ricava dal rapporto percentuale tra la parte di popolazione in età lavorativa più anziana (40-64 anni) e quella più giovane (15-39 anni). Nel 2023 la città ha chiuso con un tasso in crescita a 148,6. Un anno prima l’indice si era fermato a 148 e nel 2021 a 146,1. Dunque, anche le statistiche confermano il declino demografico.

Speranze al lumicino

La città invecchia, il futuro è sempre più incerto. Qui, del resto, manca (e l’autonomia differenziata rischia di aggravare lo scenario) un vero disegno politico per dare speranza alla nostra meglio gioventù. L’Unical sta provando a generare un movimento di rientro dei cervelli calabresi. Un buon inizio ma da sola l’università non potrà assorbire tutti i figli di questa terra. Una terra che rischia di appassire dentro stime future che seguono il filo di un andamento costante che spinge verso una crisi demografica ormai irreversibile. Poche culle, invecchiamento dei residenti, emigrazione giovanile nonostante flussi migratori in crescita. Un orizzonte che si chiude davanti a scenari inquieti che peggiorano progressivamente. La popolazione ufficiale registrata nell’ultimo censimento permanente descrive una città che, a inizio 2024, conta 63.547 abitanti, secondo le stime dell’Istat. Ma c’è un algoritmo che mette in ansia e fa le carte alla Cosenza che i nostri figli ritroveranno tra 18 anni, nel 2041. Previsioni assemblate dall’Istituto di statistica, attraverso un panel di 121 esperti, definiscono la voragine demografica, tra denatalità ed emigrazione, con una popolazione residente stimata in 57.079 abitanti. In pratica, alla fine del 2041 avremo 6.468 cosentini registrati all’anagrafe di Palazzo dei Bruzi in meno. Una emorragia descritta dai principali indicatori. Il tasso di natalità, attualmente al 6,3% nel 2041 scenderà al 6%. L’indice di mortalità, invece, passerà dal 13,7% al 15,2%. Netta anche la frenata che si registrerà nel tasso migratorio che, tra diciotto anni, dovrebbe curvare dall’attuale 3,1% all’1,9%. Complessivamente, l’indice totale di crescita crollerà dall’attuale -4,4% al -7,4%.

Cicogne a rischio

L’Istat prevede culle sempre più vuote. In tutta Italia, e al Sud in particolare. Del resto, i riflettori sulla denatalità sono accesi, ormai, da anni. Un problema per l’Italia, una emergenza attuale e futura per la Calabria e il Cosentino in particolare. Il desiderio di avere figli per le coppie continua a sfumare davanti all’incertezza economica. Prendendo come riferimento i bambini in età di asilo nido si intuisce la preoccupazione. A inizio 2024, i cosentini da 0 a 4 anni sono 2.210 (1.125 maschi e 1.085 femmine). Tra diciotto anni scenderanno a 1.770 (912 maschi e 858 femmine). In totale ci saranno 440 culle in meno. Una slavina ulteriore sul futuro di questa terra che continuerà ad appassire con meno giovani in grado di produrre e più anziani da assistere secondo un algoritmo senza soluzione.

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