Il “compare” casalese. Francesco Schiavone, detto “Sandokan”, nel mondo carcerario era un mito. Sopportava la detenzione senza battere ciglio e tra le cinte murarie dei penitenziari tesseva alleanze con esponenti delle mafie di altre regioni. La comune reclusione con boss calabresi, pugliesi e siciliani consentiva al capo dei casalesi e ai suoi sottoposti di allargare lo spettro delle “amicizie”. Da cosa nasce cosa e nel mondo del crimine ogni contatto può trasformarsi in lucrose utilità.
I casalesi avevano «buoni amici» anche a Cosenza. Prima Francesco Bruni inteso come “Bella bella” ucciso nel luglio del 1999 e, poi, il figlio, Michele, morto a causa di una grave malattia nel giugno del 2011, avevano saldato rapporti con padrini e camorristi di Casal di Principe. La conoscenza tra i Bruni e gli uomini del cosiddetto “Sistema” era avvenuta durante comuni periodi di detenzione trascorsi nel carcere di Carinola. Le sale colloqui, i corridoi, le celle e i cortili del passeggio del penitenziario erano state i luoghi d’incontro ideali per stringere patti forieri di futuri vantaggi.
La moglie polacca di Michele Bruni, Edyta Kopacinzka, ora collaboratrice di giustizia, ha raccontato ai magistrati che il marito aveva intenzione di piazzare nel Cosentino le mozzarelle di bufala prodotte dai casalesi. Un progetto redditizio dal punto di vista economico da realizzare attraverso l’imposizione del “prodotto” ad esercenti e ristoratori.
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