“El compar”: Ismael “el Mayo” Zambada è stato l’amico più stretto e fedele di Joaquin Guzman Loera detto “El chapo”, capo assoluto del cartello messicano di Sinaloa. Il narcotrafficante, rimasto alla macchia per più di 30 anni, è stato arrestato dagli agenti della Dea statunitense nei giorni scorsi in un aeroporto privato di El Paso, in Texas. Era arrivato a bordo di un jet, veloce e elegante, insieme con Joaquin Guzman Lopez, uno dei figli del suo vecchio socio e “compare”.
I messicani sono vecchi alleati della ‘ndrangheta e proprio “el Chapo”, in una conversazione intercettata dagli investigatori americani, definì i mafiosi calabresi «affidabili, perchè sono come noi».
I legami tra i centroamericani e la ‘ndrangheta sono confermati da dati inoppugnabili, uno su tutti: nel marzo del 2012, nel porto di Gioia Tauro, vennero sequestrati due container su altrettante navi, una delle quali era salpata dal porto messicano di Mazatlàan, nello Stato di Sinaloa. La stessa città nella quale Guzman Loera verrà arrestato due anni dopo, dai marines messicani, il 22 febbraio del 2014 in un elegante albergo. Il sequestro avvenuto nel grande porto calabrese, riportò subito alla memoria degli inquirenti italiani specializzati nell’antidroga, quanto era avvenuto dieci anni prima. In un'altra importante indagine, denominata “Decollo”, emergevano infatti i retroscena di un incontro d’affari avvenuto in Messico per far arrivare in Calabria una tonnellata e mezzo di “coca”. Fu il testimone di giustizia Bruno Fuduli, usato come “infiltrato” nel mondo dei narcotrafficanti di droga dalla Dda di Catanzaro, a raccontare dell’accordo. Fu lui a svelare circostanze e dettagli sulla trattativa portata avanti con un potentissimo narcotrafficante - pare si trattasse proprio di Ismael “el Mayo” Zambada - in una principesca villa di Guadalajara. Con il boss del cartello di Sinaloa, che viveva circondato da guardie del corpo, fu stabilito l’invio dello stupefacente nella nostra regione via nave. Il padrino messicano disponeva infatti di cinque mercantili utilizzabili per affrontare viaggi transoceanici e di una enorme quantità di “polvere bianca” che oltre al Nordamerica poteva essere commercializzata anche in Europa. «La consegna di 1500 chilogrammi di cocaina purissima – ha raccontato Fuduli – doveva avvenire in un preciso punto nautico, posto in acque internazionali, individuato a largo delle coste ioniche del Reggino. Le imbarcazioni si sarebbero dovute incontrare in alto mare per compiere il trasbordo». L’affare tuttavia non andò in porto perchè l’inchiesta culminò in una serie di arresti che riguardò trafficanti di droga calabresi e colombiani. Nessuno riuscì invece a mettere le manette a “el Mayo”, nè a mettere piede nella villa principesca in cui il narcoboss aveva incontrato l’emissario “infiltrato” della ‘ndrangheta. In Messico i “cartelli” hanno sempre goduto di sconti e protezioni per via di un vastissimo sistema corruttivo messo in piedi nel corso di decenni. Nessuno ha voluto peraltro mai confermare che quello incontrato da Fuduli fosse l’uomo più vicino a “el Chapo”. A quelle latitudini tacere può voler dire aver salva la vita.
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