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'Ndrangheta nel Cosentino, torna dietro le sbarre il vecchio padrino Franco Muto

La magistratura di sorveglianza ha revocato la detenzione domiciliare prima concessa per «motivi di salute». I maggiorenti delle cosche della provincia bruzia sono tutti detenuti

I tempi bui della ’ndrangheta. I boss del Cosentino sono tutti dietro le sbarre. Da Francesco Patitucci, indicato dalla Dda come leader criminale dell’area urbana, a Francesco e Luigi Abbruzzese ritenuti dalla magistratura inquirente elementi di vertice della criminalità organizzata sibarita con Pasquale Forastefano dell’omonimo famiglia, passando per Pietro Solomando di Corigliano Rossano, Maurizio Rango di Cosenza, già capo della “Nuova famiglia”, Luigi e Marco Abbruzzese dell’omonimo gruppo bruzio, Andrea Tundis e Pietro Calabria di San Lucido, Luigi Muto di Cetraro, Adolfo D’Ambrosio di Rende.

L’ultimo a tornare in cella è stato Franco Muto, il “re del pesce” di Cetraro, per il quale il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha ritenuto le condizioni di salute compatibili con la detenzione carceraria. Muto, 82enne, deve scontare una condanna definitiva a 20 anni perchè ritenuto capobastone di un’associazaione mafiosa che allunga i suoi tentacolari interessi lungo tutta l’area dell’Alto Tirreno. Da mesi, il padrino - indagato e poi assolto in via definitiva negli anni 80 dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Giannino Losardo, consigliere del partito comunista cetrarese - aveva trascorso l’espiazione della pena nella sua abitazione posta nella cittadina tirrenica. La magistratura di sorveglianza sarda (il boss era ristretto nell’isola) aveva accolto le istanze del difensore di Muto, l’avvocato Michele Rizzo, valutando il quadro clinico del “mammasantissima” come non compatibile con il duro regime carcerario, assegnandolo alla detenzione domiciliare per «motivi di salute». Il quadro adesso, sulla base di una nuova perizia medico legale, sarebbe cambiato e il beneficio revocato. Il “re del pesce” è stato pertanto arrestato dai carabinieri del colonnello Andrea Mommo e trasferito nel carcere napoletano di Secondigliano.

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