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Omicidio Ruffolo a Cosenza, conferma per Porcaro: il TdL respinge il ricorso della difesa

La vittima assassinata il 22 settembre 2011 nella zona “Città duemila”

Roberto Porcaro

Sbarre e cancelli. Il prossimo futuro di Roberto Porcaro, esponente - secondo la Dda di Catanzaro - delle “cosche confederate” cosentine e pentito non creduto dai pm antimafia Vito Valerio e Corrado Cubellotti, sembra segnato dalla detenzione carceraria. Il Ttibunale della Libertà catanzarese ha infatti respinto il ricorso presentato dall’avvocato Mario Scarpelli, legale di Porcaro, contro l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del presunto boss dal Gip distrettuale nelle scorse settimane. Nel provvedimento restrittivo ora confermato dal Riesame, Roberto Porcaro viene indicato come il mandante e ispiratore dell’agguato costato la vita, nel pieno centro di Cosenza, a Giuseppe Ruffolo. L’uomo venne assassinato nel pomeriggio del 22 settembre del 2011 in via degli Stadi, nel tratto di strada che attraversa il quartiere cosentino di “Città duemila”. Un killer affiancò, in sella ad uno scooter, la vettura su cui viaggiava la vittima e fece fuoco con una pistola calibro 9 per 21. Ruffolo non ebbe scampo. Contro Porcaro, rinchiuso in regime detentivo speciale (41 bis) nel supercarcere di terni, vi sono le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia tra cui Giuseppe Zaffonte, assurto al ruolo di “gola profonda” nell’ambito della maxinchiesta “Reset”.
Quando Ruffolo cadde sotto i colpi del killer si pensò all’inizio di una nuova guerra tra clan della ‘ndrangheta ma, al contrario, l’omicidio non fu vendicato. E ciò fece ben intendere agli investigatori che evidentemente qualcuno l’aveva “autorizzato”. L’inchiesta sul delitto, inizialmente archiviata dalla procura di Cosenza, venne riaperta nel 2019 dalla Dda e culminò nell’arresto di Massimiliano D’Elia e dello stesso Roberto Porcaro, indicati dai pentiti come coinvolti nell’agguato. Il Tribunale della libertà scarcerò successivamente Porcaro la cui posizione fu poi stralciata e archiviata mentre D’Elia fu mandato a giudizio davanti alla Corte di assise di Cosenza. Il trentaquattrenne cosentino venne condannato in primo grado a 28 anni e 6 mesi di carcere ma in appello la Corte di assise di Catanzaro ridusse la pena a 17 anni, escludendo l’aggravate mafiosa. Il 21 ottobre scorso il nuovo colpo di scena con l’emissione di una nuova ordinanza contro Porcaro decisa sulla base delle confessioni rese da altri pentiti intanto comparsi sulla scena giudiziaria locale.

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