Monsignor Francesco Savino è il vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana e guida la diocesi di Cassano. I in occasione delle feste natalizie abbiamo deciso di progergli alcune domande e chiedergli delle considerazioni su una serie di temi.
La Calabria e il sud vivono il dramma della emigrazione. Il Natale è la festa del ritorno: tanta malinconia e il desiderio di rientrare. Cosa si sente di dire a chi resta ed a chi torna?
«A chi resta, vorrei rivolgere un pensiero di incoraggiamento e gratitudine ma anche un grido che è insieme ringraziamento e accusa. Rimanere in una terra che spesso sembra sorda ai propri figli e cieca di fronte alle sue immense potenzialità è un atto di amore ribelle e resistenza profetica. Voi non siete semplici custodi: siete i seminatori del futuro, i guerrieri silenziosi di una Calabria che si rifiuta di piegarsi alla rassegnazione. Il vostro impegno quotidiano è un grido che sfida l’indifferenza e tiene viva una comunità che merita molto di più di ciò che le viene restituito. Rimanere in Calabria richiede coraggio poiché spesso le Istituzioni vi abbandonano, la politica si piega a proclami vuoti ed il sistema si accontenta di sopravvivere rendendosi colpevole e quindi responsabile di questo tradimento che dura da troppo tempo. Non lasciate che il silenzio delle istituzioni vi spenga; siate la scintilla di un incendio di speranza perché ricordatevi che la Calabria non è povera, è stata resa povera; non è priva di speranza è stata privata di essa da chi ha pensato a riempire le proprie tasche lasciando a voi, solo il peso del deserto della disillusione. Il vostro coraggio è la radice di una rinascita possibile, perché ogni scelta di restare è un atto di fiducia nel potenziale inespresso di questa terra. È attraverso di voi che questa terra ritrova la sua dignità, ed è grazie alla vostra perseveranza che le fondamenta di un futuro diverso vengono gettate. A chi torna, il Natale è molto più di una celebrazione: è una chiamata. Tornare non è un gesto rituale, ma un’opportunità sacra per guardare con occhi nuovi ciò che abbiamo lasciato. Non bastano le lacrime, non basta tornare solo per rivivere una nostalgia, questo lusso non ce lo possiamo più permettere. È il momento di spezzare la catena della nostalgia sterile e trasformare il ricordo in azione, la memoria in progetto. Ogni ritorno può diventare una fiamma che riaccende le luci di questa terra, troppo spesso immerse nell’ombra dell’abbandono. Tornare consapevolmente è un atto rivoluzionario: è riscoprire che le radici non sono un vincolo, ma una forza. Chi torna porta con sé il bagaglio di esperienze, di visioni e di conoscenze acquisite altrove. Ogni ritorno può essere la scintilla che innesta una nuova cultura di crescita e di cambiamento. Non è solo un ritorno ai luoghi fisici, ma un riannodare fili spezzati, un ridare voce a storie dimenticate. È il momento di ridare senso alle piazze, alle case, ai volti. Di trasformare il rientro in un dialogo tra passato e futuro, tra chi parte e chi resta, perché è solo insieme che questa terra può riscoprire la sua bellezza. Il Natale ci invita a un gesto radicale: trasformare ogni distanza in un ponte e ogni muro in una feritoia che lasci entrare la luce. È il tempo di rifiutare l’idea che l’emigrazione sia un destino inevitabile e di riscoprire che la vera ricchezza della Calabria non è sotto terra, ma nelle mani, nei cuori e nelle menti di chi sceglie di restare e di chi ha il coraggio di tornare. La Calabria non ha bisogno di compassione, ma di visione, audacia e unità. Perché solo unendo questi due cuori – chi resta e chi torna – si può spezzare la maledizione della fuga e ridisegnare il volto di una terra che attende solo di risorgere.»
C’è un importante università nel Cosentino, che registra un ritorno in Calabria di grandi luminari nella terra di origine: l'entusiasma?
«Certamente mi entusiasma, e non potrebbe essere altrimenti. Il ritorno in Calabria di grandi luminari e studiosi rappresenta una rinascita intellettuale e un segno di speranza per la nostra terra. L’università del Cosentino non è solo un polo accademico, ma un faro culturale e di sviluppo che può contribuire a trasformare la regione in profondità. E non è il solo! Questo fenomeno va oltre il valore personale del ritorno di chi decide di mettere a disposizione della propria terra il sapere accumulato altrove. È il simbolo di una Calabria che riscopre la propria capacità di attrarre talenti, di una terra che non si limita a osservare partenze dolorose, ma inizia a vivere un movimento inverso. Quando un accademico di rilievo sceglie di tornare, porta con sé non solo conoscenze, ma anche un messaggio chiaro: questa terra può essere uno spazio di innovazione e futuro. Il ritorno di figure illustri è una grande opportunità per le nuove generazioni. Sapere che nella propria regione operano studiosi di calibro internazionale rafforza nei giovani la fiducia nel proprio futuro e la convinzione che non sia necessario partire per eccellere. Questi esempi di successo possono ispirare nuove aspirazioni e incentivare la costruzione di un percorso di vita che valorizzi la Calabria come punto di partenza e di arrivo. Non dobbiamo, tuttavia, accontentarci di celebrare queste eccellenze. La loro presenza deve essere accompagnata da politiche che incentivino la ricerca, il trasferimento tecnologico e la connessione tra università e tessuto produttivo locale. Solo così il sapere accademico potrà trasformarsi in un motore di cambiamento concreto per il territorio. Il mio augurio è che questo ritorno non resti un episodio isolato, ma diventi il segno di un cambiamento strutturale. Una Calabria capace non solo di accogliere chi sceglie di rientrare, ma anche di attrarre talenti da tutto il mondo, grazie alla forza delle sue istituzioni e al fascino delle sue radici. La terra che per tanto tempo ha visto partire i suoi figli, ora deve diventare un luogo di realizzazione per chi vuole costruire qui il proprio futuro. Sì, mi entusiasma. E credo che questo entusiasmo debba tradursi in un impegno condiviso: valorizzare ciò che abbiamo e costruire una Calabria non solo orgogliosa del suo passato, ma pienamente consapevole del proprio potenziale per il futuro».
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