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Corigliano, la morte della 17enne Marta Azzaro: archiviato il caso, nessuna colpa dei medici

Morte della studentessa di 17 anni, Marta Azzaro di Corigliano: per i giudici non c’è stata colpa medica. Il Gip presso il Tribunale di Castrovillari ha infatti archiviato, in accoglimento delle richieste avanzate dal Pm e dal collegio difensivo e su opposizione delle parti civili, il caso riguardante la responsabilità penale per tre medici (anestesista, Pronto soccorso e pediatra) dell’ospedale Compagna di Corigliano difesi dagli avvocati Ettore Zagarese, Raffaella Accroglianò, Antonio Petrone e Francesco Chiaia. I tre medici erano coinvolti nell'ambito delle indagini riguardo la morte della ragazza di diciassette anni, deceduta poco meno di un anno fa, dopo essere stata dimessa, per due volte, dal pronto soccorso dell’ospedale ausonico. La denuncia era stata presentata dai familiari della minore che volevano accertare eventuali responsabilità medica nella morte della figlia. Il Gip non ha riscontrato responsabilità per i tre professionisti dell'Ospedale Compagna di Corigliano.
La vicenda processuale nasce all'arrivo al pronto soccorso del nosocomio Compagna della giovane affetta da una grave patologia congenita, per sintomi riferiti quali mal di stomaco, diarrea e vomito. Dagli atti si evinceva che la ragazza veniva sottoposta a visita generale, cui seguiva l'intervento di uno specialista in anestesiologia che praticava l'inserimento di una flebo, consigliando controllo pediatrico e ricovero in ambiente medico. Infine, interveniva un pediatra che eseguiva esame obiettivo al cui all'esito, attestato il miglioramento delle condizioni, si "concordava" osservazione a domicilio.
Circa sei ore dopo, a seguito del peggiorare dei sintomi, la ragazza veniva nuovamente trasportata nel Pronto soccorso dove, tuttavia, giungeva già priva di vita. Dalla triste vicenda, per la quale si apriva procedimento penale con la nomina di consulenti di ufficio che stabilissero le cause del decesso sono, però, risultati esenti da rilievi penali i sanitari indagati, non essendo risultato possibile stabilire che un loro atteggiamento differente avrebbe avuto potere salvifico sulla stessa tenuto conto della gravità della patologia da cui la ragazza era affetta e delle sue conseguenze cliniche.

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