C’è un mondo che si contrae in fretta e sparisce un pezzo dopo l’altro. Un mondo fatto di romanticismo, di dolcezza, di pazienza. E ciò che resta si trasforma rapidamente, adeguandosi alle stagioni della vita. Il medico di famiglia una volta era il primo accesso al sistema sanitario e spesso anche l’ultimo perché il suo studio era, per gran parte dei suoi assistiti, l’unico presidio di riferimento per cure e assistenza. Un mondo fatto di sorrisi con cui il dottore declinava il suo sapere a ognuno dei suoi pazienti di cui conosceva bene non solo le condizioni cliniche ma anche ogni particolare della sua vita, la moglie, i figli, la professione esercitata. Era uno di famiglia, insomma. A quei tempi c’era solo il postino (di una volta) che aveva il medesimo rapporto d’intimità. Il parere del medico era risolutivo e in ospedale si andava solo su sua insindacabile decisione, al contrario di ciò che accade, ormai, per abitudine di questi tempi nei Pronto soccorso dei nostri ospedali. Le prime linee collassano per eccesso di patologie inappropriate (codici bianchi) proprio perché il paziente salta (per mancanza del medico o, più frequentemente, per autodeterminazione) il filtro del territorio. I medici di famiglia fanno quello che possono ma devono muoversi in mezzo ai nuovi obblighi che li hanno trasformati in burocrati.
Allarme Gimbe
Le cose stanno cambiando, la professione del medico di famiglia segue le coordinate introdotte dalle nuove leggi che hanno modellato una figura che non sembra essere più attrattiva. Il riscontro arriva dai posti che non si riescono a coprire nei corsi di formazione specifica in Medicina generale (che dura tre anni). Le proiezioni per il futuro non sono certamente rosee con pochi ingressi a fronte di uscite annuali consistenti per raggiunti limiti di età. Le nuove leve non basteranno a rimpiazzare i settantenni che chiuderanno i loro studi. Di recente, la Fondazione Gimbe, ha redatto un report su scala nazionale evidenziando come tra il 2023 e il 2026 «saranno 1.320 i medici di medicina generale che compiranno 70 anni, raggiungendo così l’età massima per la pensione (deroghe escluse). Considerando l’età di pensionamento ordinaria e il numero borse di studio per gli anni 2020-2023, nel 2026 il numero dei “camici bianchi” di famiglia diminuirà di 384 unità rispetto al 2022». Insomma un turn over impossibile da garantire.
Nel Cosentino
Il sistema salute calabrese vive di storici ritardi nella medicina territoriale. Non si può star male, soprattutto, nei piccoli comuni, quelli più interni, dove spesso, col medico di famiglia non è garantita neanche la continuità assistenziale. La storia dell’assistenza sanitaria a km 0 ritorna sul ciglio del baratro oltre il quale si spalanca l’abisso matematico che sembra degradare verso una emergenza sempre più profonda. I numeri sono lo specchio di una realtà complessa che si deforma col passare del tempo e man mano che i medici di medicina generale abbandono per raggiunti limiti d’età o per cambiare destinazione o incarico. Il “buco” è enorme. In tutta la provincia, l’assistenza ai mutuati dovrebbe essere garantita da 508 dottori ma ne mancano almeno una sessantina. Per non parlare della Continuità assistenziale: le guardie mediche sono, ormai, a rischio scomparsa.
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