La crisi confonde le trame della vita, un po’ come fa da sempre il destino in questa nostra terra. La povertà è diventata materia solida in mezzo ai terremoti sociali che stanno svelando rapidamente nuovi bisogni e nuove miserie. Prima il Covid e adesso la crisi energetica e le speculazioni dei mercati condizionati dalle guerre hanno riconfigurato i recinti delle periferie sociali in questo Sud del Sud dell’Italia.
La globalizzazione della fame nel 2024 che ci prepariamo a salutare ha dilatato le sacche della povertà. Il pianto dei senza tutto è, ormai, diventato lamento di massa. Uno scenario aggravato da livelli di occupazione stabile in picchiata. L’Istat, nel rapporto Bes, ha configurato il tasso di occupazione della popolazione attiva (20-64 anni) in un 48,4%, di ben 18 punti inferiore alla media del paese. Cosenza fa, addirittura, peggio con un 48% tondo. Ma soffre anche chi un lavoro ce l’ha. Qualche mese fa, la consigliera comunale Bianca Rende, sollecitando maggiori sforzi da parte di palazzo dei Bruzi nel Welfare, denunciò: «In città vivono 13mila famiglie con un reddito annuale che non supera i 10mila euro».
Significa che 13mila famiglie sopravvivono con un mensile di 769 euro, tredicesima compresa. Una somma esigua in cui devono entrare col pane anche le spese di tributi e bollette. Un piccolo miracolo economico che, a volte, non riesce. Soprattutto quando si deve far fronte anche a spese extra per la salute o per l’auto da riparare. Ma al Sud siamo abituati ai miracoli. Basti pensare che persino a parità di impiego con i lavoratori del Nord esistono divari territoriali consistenti.
La Cgia ha sfornato un report che rischiara differenze sostanziali tra le aree geografiche del paese sia nelle paghe che nelle tredicesime dei lavoratori. Milano è la città più ricca dove chi ha una occupazione stabile nel privato porta a casa una retribuzione media lorda di 2.642 euro. Cosenza è in coda alla graduatoria nazionale, in 105.ma posizione. Chi lavora qui riceve una paga lorda media di 1.140, meno della metà dei colleghi meneghini, per intenderci. Di peggio in Italia si registra solo a Nuoro e a Vibo, con stipendi ancora più bassi.
C’è un indicatore che rivela le difficoltà oggettive che stanno contagiando come un virus città, paesi, borghi e case, è quello del tasso in ingresso in sofferenza dei prestiti bancari alle famiglie. Un indice che è dato dal rapporto tra la consistenza delle nuove sofferenze nell’anno (prestiti a soggetti dichiarati insolventi o difficili da recuperare nell’arco dei dodici mesi) e lo stock dei prestiti non in sofferenza nell’anno. Secondo l’Istat, la Calabria fa peggio tra le regioni italiane con un tasso dell’1,3%. Cosenza non è da meno con l’1,1%. Ciò significa che crescono i crediti deteriorati.
Natale alle porte resta un bagliore in una città che vive stati d’animo differenti. C’è una Cosenza che corre, con la gente che si muove di moto lento nelle auto incolonnate lungo le principali strade dello shopping, con l’inconfondibile colonna sonora eseguita, principalmente nelle ore di punta, a colpi di clacson. E, poi, c’è l’altra Cosenza, più silenziosa e sempre più popolata da ultimi, disperati, ai quali non resta più neppure un tetto sotto il quale dormire. In questa parte di città “invisibile”, il sistema famiglia rischia di saltare.
Una minaccia seria sulla nostra società, una pesante ipoteca sul nostro avvenire. Le politiche di welfare non bastano più per un numero sempre crescente di cosentini in difficoltà. Serve uno sforzo supplementare prima che sia troppo tardi.
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