Il virus influenzale resta dentro il Cosentino, entra nelle case, si diffonde nelle famiglie. Fortunatamente, non si registrano casi di bronchioliti tra i bambini come, invece, è accaduto negli ultimi due anni. Nella biografia dei contagi che si moltiplicano in fretta, come non succedeva dai giorni neri della pandemia, ci sono solo sintomi comuni di febbre alta (tra 38 e 40 gradi) e problemi gastrointestinali. L’epicentro è sempre lì, dentro l’ospedale che fatica a reggere al nuovo assedio. L’epidemia in questi giorni è un martello infuocato (il picco, comunque, era stato collocato proprio a cavallo del nuovo anno) che picchia con violenza sui Pronto soccorso dell’“Annunziata”, quello generale e quello pediatrico. Il sistema dei servizi assistenziali sul territorio è saltato da tempo. Le festività hanno dilatato le distanze tra pazienti e medici e pediatri di famiglia. E il black-out dell’assistenza periferica, in questi ultimi giorni, ha trasformato l’hub in rifugio sicuro.
In provincia, tutto si complica. Purtroppo, la continuità assistenziale è un servizio non più garantito con certezza perché demolito dalla tragica carenza di medici e quelli che ci sono viaggiano su territori aspri che, spesso, mettono insieme più comuni e più disagi. In questi ultimi giorni, il virus ha riempito l’ospedale di lamenti e di pazienti di tutte le età. In media ce ne sono un centinaio al giorno che finiscono in coda, con gli stessi segni, lo stesso male. Sono tutti schiacciati dentro quel buco inadeguato dove il fiato contaminato dei virus entra ed esce da quei corpi piegati dalle malattie.
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