“L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”: era il motto che caratterizzava Gino Bartali, tra i protagonisti della storia del ciclismo a cavallo della seconda guerra mondiale. Un motto che calza a pennello per l’Amaco dove lotte intestine hanno trascinato nelle secche il baratro l’azienda per la mobilità nell’area cosentina. Debiti a destra e a manca, autobus (tra alcuni ultimi arrivati) che non si reggono in piedi, dipendenti che si pagano (per fortuna) regolarmente ma che vivono alla giornata non sapendo cosa ne sarà di loro tra qualche mese. Sì: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Dopo un mese dall’aggiudicazione del fitto di ramo d’azienda Tpl al Consorzio Autolinee (unica offerta pervenuta alla scadenza del termine el bando, il 16 dicembre), il castello è crollato. È passata la linea di quattro sindacati (Filt Cgil, Fit Cisl, Uil Trasporti e Confail Faisa) che non avevano mai gradito la soluzione del privato e nemmeno la riorganizzazione annunciata dal Consorzio Autolinee tanto che il 10 gennaio avevano trasmesso una nota al curatore fallimentare Fernando Caldiero, al presidente del Consorzio Autolinee, Mario Rocco Carlomagno e all’Amaco in cui facevano notare che «non sussistono neppure le pre-condizioni per aderire ad un tavolo di negoziato, in quanto sono previste pesanti ricadute del programmato affitto del ramo d’azienda sul personale senza neppure offrire ragionevoli certezze sul futuro dei lavoratori».
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