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L’Alta Velocità è una cicatrice che s’allarga in mezzo ai declivi scavati dalle storiche disuguaglianze. Un sepolcro vuoto che rimanda costantemente a un altrove che ha poco o niente di veramente compatibile con l’essenza della vita che si vive qui, nel Sud del Sud dell’Italia, dove la mobilità è una quotidiana emergenza e la normalità è qualcosa che non s’è mai vista. Visto da qui, il resto del paese sembra lontano, nella sanità, nei trasporti, nei servizi essenziali in genere. Qui tutto diventa straordinario, persino un treno che arriva in orario. Del resto, questa è una terra in cui si fatica a superare i dualismi come quello cartesiano tra pensiero e materia, o quello politico, tra destra e sinistra. Non c’è mai un fronte comune, un pensiero unico che possa diventare seme di speranza. In Calabria tutto prende il sentiero di una narrazione diversa, nei margini nelle forme, nella semantica. E così capita che una senatrice della Lega, Tilde Minasi, calabrese di Reggio, finisca nel tritacarne della critica dei sindaci che lottano per garantire la copertura omogenea dell’Alta velocità in tutta la regione, secondo il progetto iniziale di Rifi.
La rabbia di Franz Caruso risale dai marosi dello scontro in atto con la necessità di attribuire con precisione l’origine politica del progetto: «Decisione, progetto e relative risorse per l’Alta Velocità ferroviaria Salerno - Reggio Calabria sono da ascrivere agli ex ministri De Micheli e Giovannini e ai rispettivi Governi e non già a Salvini. Lo stesso tracciato “centrale” scaturiva da uno studio approfondito effettuato da Rfi su incarico governativo, costato ben 35 milioni, e che ora Salvini vorrebbe considerare carta straccia».
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