
Sono ormai delineati i contorni della vicenda del focolaio di intossicazione da botulino in Calabria, che ha provocato due morti ed il ricovero nell’ospedale di Cosenza di altre quindici persone, con l’ultima che si è aggiunta nelle ultime ore.
Questo mentre si allarga il numero degli indagati dalla Procura di Paola che sale a dieci persone, di cui sei medici. All’origine dell’intossicazione, secondo le analisi dell’Istituto superiore di sanità, ci sarebbero più alimenti e non solo le cime di rapa servite per condire i panini con la salsiccia venduti in un food truck da un commerciante ambulante a Diamante (Cosenza). Friarielli che, però, saranno comunque ritirati dal mercato: sul sito del ministero della Salute è stato pubblicato il richiamo per due marchi, per sospetto rischio di contaminazione. Il richiamo riguarda due lotti dell’etichetta 'Bel Saporè e due a marchio 'Vittorià, provenienti da uno stabilimento del salernitano.
I risultati delle analisi sono stati inviati alla Procura della Repubblica di Paola che coordina le indagini. Nell’inchiesta sono indagate dieci persone, tra cui l’ambulante, tre responsabili delle ditte produttrici del prodotto e sei medici - uno si è aggiunto nelle ultime ore - di due strutture sanitarie del cosentino che hanno avuto in cura Luigi di Sarno, 52enne di Cercola, e Tamara D’Acunto, 45enne di Diamante, prima del loro decesso. Nei loro confronti si ipotizzano a vario titolo i reati di omicidio colposo, lesioni personali colpose e commercio di sostanze alimentari nocive. Dopo una serie di accertamenti e gli esiti delle analisi dell’Istituto superiore di sanità, l’ipotesi è quella che venisse utilizzato un «solo attrezzo da cucina per maneggiare gli alimenti, altrimenti non si spiega», ha spiegato il procuratore Domenico Fiordalisi. Un attrezzo da cucina che ha così provocato un effetto domino su tutti gli alimenti presenti nel food truck.
L'avvocato del commerciante ambulante: "I prodotti non stavano esposti al sole aperti, ma conservati in frigo"
Una tesi, quella della Procura, che viene contrastata dal difensore del commerciante ambulante. I prodotti in vendita nel truck food del «mio assistito non stavano esposti al sole e aperti ma erano conservati in frigo e aperti all’occorrenza», ha spiegato l’avvocato Francesco Liserre, difensore del commerciante ambulante il quale ha evidenziato che "il mio assistito è devastato psicologicamente. E’ convinto che la contaminazione fosse già nei prodotti».
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