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Se il teatro diventa strumento d’indagine, un bilancio della “Primavera” di Castrovillari

Sguardo sulla drammaturgia che ci racconterà il presente

Ci sono eventi capaci di diventare, anno dopo anno, nonostante le difficoltà di ogni genere legate alla loro stessa sopravvivenza, appuntamenti imprescindibili per il territorio che li ospita e per una comunità di persone che attorno ad essi si ritrova e si riconosce. È questo il caso di Primavera dei Teatri, festival dedicato ai nuovi linguaggi della scena contemporanea, organizzato a Castrovillari da “Scena Verticale” la compagnia di Saverio La Ruina, Dario De Luca e Settimio Pisano, vetrina per la nuova drammaturgia e momento di festa e condivisione fra teatro, danza, performance.

La XXIII edizione di Primavera, tornato quest’anno nella tradizionale collocazione di fine maggio, inizio giugno, conclusasi da pochi giorni, si è dimostrata ancora una volta un fertile e necessario momento d’incontro, sperimentazione, confronto fra pubblico, artisti e operatori di settore. Raggiungere Castrovillari, dalle altre città della Calabria e non solo, diventa dunque occasione privilegiata, al Sud, per vivere giorni all’insegna del teatro che si fa, fra attualità e riflessione, poesia e performance, nuovi progetti nazionali e internazionali. Con i suoi circa 30 appuntamenti, fra spettacoli, restituzioni di lavori in residenza, incontri, reading, anche quest’anno il festival ha permesso di apprezzare delle novità che sicuramente gireranno nei prossimi appuntamenti della stagione teatrale. Tante tematiche e questioni aperte nelle prime nazionali proposte, i classici con voci nuove, narrazioni contemporanee, il tema della memoria e del tempo, attraverso cui raccontare luoghi, persone, fatti del passato.

È il caso di “Umanità nova-cronaca di una mancata rivoluzione”, della compagnia reggino-calabra Carullo-Minasi (con Sciara Teatro) che affonda le radici in una pagina di storia calabrese e italiana poco conosciuta. Corpo, voce, una scena abitata da pochi oggetti dove sin da subito si evidenzia la forza della storia: la vicenda proposta con una interpretazione incisiva e generosa da Giuseppe Carullo, con la puntuale regia di Cristina Minasi, ben delineata nella drammaturgia di Fabio Pisano, è quella dei cinque anarchici di Reggio e del conflitto generazionale scatenatosi negli anni Sessanta e subdolamente cavalcato dai movimenti di estrema destra italiana per creare una strategia della tensione. A rievocare quegli anni, fra speranze tradite e violenze senza colpevoli, sono Angelo Casile e i suoi amici ma anche altre figure che, nelle diverse sfumature del testo e della messa in scena, popolano la narrazione fra sogni infranti, possibilità negate, esistenze cancellate che grazie all’azione teatrale possono nuovamente trovare una voce.

Il tema del lavoro, invece, al centro della residenza “Smart Work”, testo che nasce all’indomani della pandemia, scritto a quattro mani da Armando Canzonieri e Gianluca Vetromilo e interpretato da Francesco Rizzo e che per i giorni del festival ha animato lo spazio del Teatro Chimera. Fra operatori di call center e driver, lavoro agile e lavoro precario, i primi venti minuti dello spettacolo condiviso con il pubblico di Castrovillari hanno mostrato una materia necessaria quanto dolorosa da affrontare, che riguarda il presente di tanti giovani ma non solo e che viene proposta con intelligenza e profondità. Tradizione e poesia nella fiaba proposta da Dario De Luca, accompagnato dalle musiche realizzate ed eseguite dal vivo da Gianfranco De Franco dei padroni di casa di Scena Verticale.

“Re Pipuzzufattu a manu. Melologo calabrese per tre finali” trae origine da una fiaba della tradizione calabrese che De Luca ha risposto attraverso corpo e voce di attore, dando vita a una versione estremamente vitale e coinvolgente. Suoni, luci, gesti accompagnano le vicende di una reginotta tenace e risoluta nella scelta dell’uomo da sposare, tanto da pensare di realizzarselo da sé salvo poi dover fare i conti con gli imprevisti della vita, in uno scenario fatto di boschi e luoghi incantati, incontri fortunati e altri invece dal sapore amaro. Mentre in “Via del Popolo” è la stessa Castrovillari a divenire protagonista, luogo eletto della memoria di Saverio la Ruina che con maestria e delicata raffinatezza ricompone il mosaico dei ricordi sin dall’arrivo della famiglia che dalla montagna sceglie Castrovillari per immaginare un futuro diverso.

Tra memoria e presente si muove “Felicissima Jurnata” dei PutécaCelidònia. I giorni felici di Beckett qui vengono traslati nelle esistenze ai margini di donne e uomini dei bassi napoletani, il testo si compone di brandelli delle loro vite, proposti in modo energico e in lingua napoletana da Antonella Morea, che come una Winnie dei “Giorni felici” svetta sulla cima di un enorme cono ricoperto di lana azzurra, al cui interno, come fosse un passo, si muove a fatica, fra gesti e versi, un essere umano, Dario Rea.

Interessante e coinvolgente la “Maratona Scaldati” le cui parole, in una sorta di staffetta teatrale che ha coinvolto artisti calabresi, sono riecheggiate nelle sale del Protoconvento Francescano, proprio a dieci anni dalla morte del grande scrittore-attore.

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