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Cosenza, di scena un’irresistibile «commedia pericolosa». Parola di regista cinefilo

«La Primavera del Cinema italiano – Premio Federico II» si arricchisce di nuovi ospiti. Alessandro Pondi racconta il suo amore per un’arte infinita

«La Primavera del Cinema italiano – Premio Federico II» si arricchisce di nuovi ospiti: stasera alle 20, sul palco del cinema Citrigno di Cosenza, assieme all’attore Fortunato Cerlino, salirà Alessandro Pondi, regista di «Una commedia pericolosa». Una commedia “gialla” dai risvolti imprevedibili, con sfumature provenienti da diversi generi cinematografici. Un melting pot di celluloide…

Film per la tv e film per il cinema, esiste ancora una linea di demarcazione?

«Mah, diciamo che sarebbe bello vedere anche i grandi film per la tv al cinema. Sono un amante della sala, ma la tendenza attuale è quella di produrre subito per la piattaforma tv. È una questione di educazione ad andare in sala. Oggi recarsi al cinema è più complicato. Credo che un buon film possa andare benissimo in sala e poi avrà tutta la vita davanti per i passaggi nelle varie piattaforme».

Giallo, sentimento, mistero… ma quanto si è divertito a scrivere e poi a dirigere “Una commedia pericolosa”?

«Mi sono divertito tantissimo! È un po’ tutto il cinema che mi ha fatto crescere, che mi ha fatto diventare ciò che sono. È quello che ho amato, dai grandi classici di 007 alla Pantera Rosa di Blake Edwards ma anche Woody Allen e il cinema d’autore, penso a Kurosawa. Così, ho messo dentro i ricordi che mi piacevano di più».

Quanto ha influito il profilo divertente e impacciato del Clouseau di Peter Sellers per tratteggiare il personaggio interpretato da Brignano?

«Molto, anche perché Enrico Brignano lo conosco bene, ho già fatto con lui “Tutta un’altra vita” e abbiamo avuto modo di toccar con mano la sua verve comica. Enrico con la sua fisicità, un po’ goffo, robusto, fa l’impacciato. E ho giocato su questo. Chiaramente Peter Sellers è un maestro a cui ispirarsi».

Non è la prima collaborazione con Brignano, ma la cifra stilistica dell’attore romano nel film non è quella che l’ha reso famoso…

«Sì, è vero. Cerco sempre di scrivere storie che possano essere interpretate da attori che interpretano personaggi e non personaggi che interpretano se stessi. E anche se in “Tutta un’altra vita” il suo ruolo poteva sembrare più vicino al suo personaggio, in realtà l’ispirazione era Alberto Sordi. Forse, Enrico Brignano è l’attore italiano di oggi più vicino ad Alberto Sordi. C’è anche Max Tortora, che l’ha imitato per tanto tempo, ma parlo proprio di fisicità e, forse, tipo di comicità. Questa volta era importante che Enrico Brignano diventasse veramente Maurilio Fattardi».

Quando scriveva la sceneggiatura immaginava già Brignano nei panni del protagonista?

«Diciamo quasi dopo la seconda pagina (ride). Quando abbiamo iniziato con il mio co-sceneggiatore Paolo Logli a tratteggiare il carattere del personaggio, un po’ impacciato, un po’ goffo, solitario, curioso e innamorato della vita, mi è venuto in mente subito Enrico. Ed è stato tutto molto più facile».

È l’epoca dei sequel e dei prequel… ci sarà un secondo caso per Mao?

«Mi sono divertito a inserire nel finale una sorta di rilancio. Ma quel rilancio è anche una chiusura. Ho paura che un sequel possa togliere la curiosità sul tipo di narrazione della storia. Se me lo proponessero, ci penserei a lungo…».
La kermesse continua domani alle 20, al cinema San Nicola, con «Rapito» di Marco Bellocchio, alla presenza di Barbara Ronchi.

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