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Inflazione record, Cosenza la città più cara. Boom per prodotti alimentari e ristorazione

In un anno la spesa alimentare per una famiglia media è cresciuta di 1.304 euro (+16%). Anche le attività di ristorazione fanno registrare i rincari più alti d’Italia (+9%). Le scuole +5%

La nostra vita è appesa da mesi a fili insignificanti che, nelle ultime settimane, hanno ceduto sotto il peso di una crisi senza precedenti. I venti di guerra e le speculazioni hanno spalancato le porte dell’abisso, un altrove nel quale può precipitare chiunque, da un momento all’altro. L’inflazione ha trasformato le nostre case in luoghi freddi e silenziosi dove si campa alla giornata, da soli, sperando di riuscire ad andare avanti nonostante la folle corsa di gas, luce, cibo. E, sullo sfondo, lo spettro della fame. Le stime dell’Ufficio studi dell’Unione nazionale consumatori sulle rilevazioni dell’Istat a settembre, collocano Cosenza ai vertici nazionali della classifica del carovita. Una città dove mangiare e bere costa di più, ma dove le quotazioni di tutti gli altri indicatori del paniere sono segnalati in preoccupante rialzo. Uno scenario livido che si configura all’interno di un crollo dell’occupazione certificato da diagrammi impietosi rafforzati dai report del commercio cittadino con attività di vicinato che continuano ad abbassare per sempre le saracinesche. Il centro di gravità della ripresa economica è collocato in basso, molto in basso. E la sofferenza è raccontata dalle file di uomini e donne che aumentano davanti alle sedi della Caritas e del Banco alimentare. Lavoro e rincari incarnano il bene e il male, forze sociali che dovrebbero riequilibrarsi ma che invece rischiarano gli abissi di questa speculazione in atto, con i suoi paradossi e perfino il suo squallore che sta trascinando la nostra umanità sull’orlo della povertà.

Prodotti alimentari

Per i Prodotti alimentari e le bevande analcoliche, se in Italia sono saliti dell’11,7% su settembre 2021, equivalenti a una stangata pari in media a 660 euro in più su base annua, in molte città è andata molto peggio. A guidare la classifica è Cosenza, che aveva già vinto a luglio e agosto questa non gratificante classifica, ma che ora per cibo e bevande segna un ulteriore balzo annuo, +16%, pari a +1.034 euro in termini di aumento del costo della vita per una famiglia media.
Al secondo posto Ascoli Piceno, con un incremento dei prezzi del 14,2% e un aggravio annuo pari a 773 euro, al terzo Viterbo dove mangiare e bere costa il +14,1% in più, 785 euro. Al quarto posto Imperia, Padova e Terni (tutte a +13,8%), poi Gorizia e Ravenna (+13,6% entrambe), e Udine (+13,5%). Chiudono la top ten Macerata, Pistoia e Verona, tutte e 3 con un’inflazione del 13,4%. Sull’altro versante, la città più risparmiosa per mangiare e bere è Bergamo, dove i prezzi crescono “solo” dell’8,7%, pari a 498 euro. Medaglia d’argento per Como (+9,1%, +521 euro) e sul gradino più basso del podio Parma (+9,2%, +492 euro). Al 6° posto Milano, +9,5% e un aggravio a famiglia pari a 517 euro.

Ristorazione

Per i Servizi di ristorazione, ossia ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, gelaterie, prodotti di gastronomia e rosticceria, a fronte di un’inflazione annua pari, per l’Italia, a +5,9%, a Cosenza i ristoranti rincarano rispetto a settembre 2021 del 9,9%. Al secondo posto Palermo, con +9,4% e al terzo Verona, +9,2%. Seguono Forlì-Cesena (+9%), Sassari (+8,8%), Brescia (+8,8%), Viterbo (+8,5%), in ottava posizione Olbia-Tempio (+8,3%), poi Gorizia (+8,1%). Chiudono la top ten Pistoia e Trento (+7,7% entrambe). La città più risparmiosa è Lodi (1,7%), in seconda posizione Campobasso (+2,2%). Al terzo posto Vercelli (+2,4%).

 

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