La crisi sta deformando i linguaggi della sofferenza. Piccoli e medi imprenditori restano affacciati con preoccupazione sul dissesto strutturale dell’economia globale che genera maggiori tensioni in quelle aree già piegate da storiche fragilità. Il Sud si è ritrovato ad essere più esposto ai venti di default che stanno svuotando tutti i contenitori produttivi. La spirale dei processi involutivi declinanti dalla pandemia, prima, e dalle tensioni belliche, adesso, in Calabria, in particolare, hanno sganciato il Paese reale da famiglie e imprese. Il termometro per misurare il livello di sofferenza di una realtà sociale è il lavoro, quello che garantisce un mensile che serve per garantire un minimo di stabilità ai bilanci familiari. E la Cgia di Mestre in queste ore ha messo in guardia sui rischi del salario minimo imposto per legge a 9 euro lordi all’ora. Pericoli, soprattutto, in quei settori dove i minimi tabellari sono ben al di sotto della soglia proposta dal disegno di legge presentato alla Camera. Potrebbe favorire l’aumento del lavoro sommerso con tacito accordo tra datore e dipendente. Secondo gli artigiani, in Calabria l’occupazione in nero è al 20,8%. Numeri che s’inseriscono all’interno delle dinamiche ufficiali dell’occupazione. Cifre che generano altre ansie. L’Ufficio studi di Confartigianato lancia l’allarme nel Cosentino con un trend di lavoratori occupati che, nel periodo 2019-2023, è letteralmente crollato. Saldo negativo di ben 4 punti percentuali (solo Crotone fa peggio in Calabria con -5,1%) e una dinamica tendenziale di crescita pigra tra il 2021 e il 2022 che si ferma al +1,4% (Nessuno nella regione come Vibo che cresce del +13,1%).
Imprese
Un profilo sconfortante emerge anche dalla fotografia delle imprese artigiane cosentine aggrappate alle dinamiche della crisi aziendale, in molti casi anticamera della chiusura definitiva. Una sofferenza che, purtroppo, ha investito anche le Costruzioni, per anni settore driver della ripresa tra bonus e efficientamento degli edifici. L’effetto rimbalzo del 2021 aveva avuto come conseguenza un tasso di crescita delle micro e piccole imprese cosentine pari a +1,50%, un dato che è letteralmente crollato in un anno. Il 2022 si è chiuso con un indice di +0,51%. E, ancora più pigra nel recinto dell’artigianato dove a un 2021 con una crescita di +0,77% ha fatto seguito un 2022 archiviato praticamente senza alcun progresso con un modestissimo +0,02%.
Imprese al femminile
Quote rosa ancora poco determinanti nelle produzioni 2022 di Cosenza e provincia con 16.243 insediamenti a referto che costituiscono il 23,6% del totale (poco meno di una su quattro). Una densità che vale appena il quarantatreesimo posto nella scala nazionale. Rispetto al 2021 si sono persi 72 presidi (con una contrazione di -0,4%) a conduzione femminile. Per quanto riguarda le imprese artigiane, nel 2022 in tutto il Cosentino ne risultavano in attività 2.093, con 10 ditte in meno rispetto al 2021 e il 60 posto nazionale. Grafici che non ricostruiscono un profilo migliore rispetto al quadro delineato dall’imprenditoria generale in rosa.
Posti a rischio
Ma proprio l’Eldorado delle Costruzioni sembra attraversare un campo minato da quando è subentrata l’incertezza sui crediti incagliati. E rischiano il posto in Calabria circa 6mila lavoratori edili. Gli occupati nelle micro e piccole imprese cosentine che rischiano di finire negli ingranaggi delle difficoltà finanziarie sono 2.140. Un perimetro di rischio che s’allarga man mano che cresce la dimensione dell’inesigibilità dei crediti che restano incagliati nei cassetti fiscali delle imprese di Costruzioni. Le speranze di una ripresa affondano tra promesse, illusioni, amarezze.
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