Cosenza

Giovedì 28 Novembre 2024

Crisi demografica nel Cosentino, meno culle più nonni

Il rapporto Svimez, presentato ieri a Roma, è una prosa che si unge di malinconia e di preoccupazioni, tra presente e futuro, per un Mezzogiorno destinato a rannicchiarsi ancora, svuotandosi di gente e di rumori. Nel capitolo dedicato alla crisi generazionale e alle migrazioni, l’Associazione rileva come «denatalità, declino demografico e crescenti squilibri generazionali rappresentino una questione nazionale che al Sud diventa emergenza». L’elaborazione delle previsioni Istat al 2050 vedono, infatti, un quinto della Calabria destinato a sparire (esattamente, il 19,9% dell’attuale struttura) con una popolazione che scenderà da quota 1.847.000 del 2023 fino a 1.478.000 del 2050 con una perdita di 368mila abitanti. Peggio dovrebbero fare solo Basilicata (-22,5%) e Sardegna (-22,0%). Ci saranno sempre meno residenti nei piccoli comuni, squarci sterminati di questa regione che si richiuderanno in fretta. La Svimez indica la strada per limitare gli effetti dell’inverno demografico: «Gli effetti negativi del calo della popolazione potenzialmente attiva dovrebbero essere contrastati con consistenti aumenti del tasso di occupazione - riconoscendo che i più ampi margini di miglioramento interessano le donne - e della produttività del sistema. Una vera sfida in un contesto dominato da una popolazione in età avanzata, meno incline a percorrere i sentieri dell’innovazione e delle sfide tecnologiche che rappresentano, invece, il terreno ideale per le giovani generazioni sempre più sguarnite e meno tutelate».

Provincia in difficoltà

Il Cosentino è la porzione più consistente in quel quinto di Calabria che nel 2050 rischia di non esserci più. Un processo di decomposizione che è già cominciato da un ventennio. Nei piccoli centri a rischio spopolamento le strade sono sempre più silenziose e la vita spesso ruota attorno all’unico bar che resiste alla crisi economica e demografica. Nei borghi più interni diventa sempre più difficile sentire le voci, organizzare una rete di infrastrutture, collegamenti e servizi. Compresi quelli sociali, educativi, culturali, scolastici. E così i giovani vanno via, partono e non tornano più. Spesso i genitori seguono i figli e man mano che le finestre e le porte vengono serrate, le strade dei borghi assomigliano sempre di più a un deserto. Comincia così il viaggio senza ritorno, l’abbandono dei paesi che la solitudine trasforma in luoghi-fantasma, centri dal presente difficile e dall’avvenire incerto. La gente scappa via dopo aver visto chiudere scuole, asili, uffici postali, guardie mediche. Succede, soprattutto, nelle aree più interne, dove lo spopolamento è più veloce che altrove. La provincia è fatta di 150 comuni ma quelli che vantano una popolazione residente superiore ai 5mila abitanti sono solo 32. Negli altri 118 la fuga dei residenti rischia di cancellarne il ricordo in una terra che la politica ha riempito esclusivamente di promesse elettorali.

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