Bisognerebbe reclutare un manager che, oltre alle disastrate economie della sanità provinciale, riesca a riportare, a riallineare i tempi della medicina con quelli della realtà quotidiana. Nella vita reale per una Tac coronarica utile, essenziale, a indagare un sospetto infarto – e se non c’è urgenza in quest’ambito è inutile stare a disquisire d’altro – bisogna attendere non una settimana, nemmeno quindici giorni o al più tardi un mese oppure tre, ma circa cinquecentoventisei giorni. Una roba enorme, almeno come le 19 lettere che compongono la parola «526». Un tempo lungo, assurdo, si dica pure inutile, frustrante per il paziente che dovrà aspettare (dopo ore di penitenza nel Cup) il mese di dicembre del 2024 per ottenere – se tutto dovesse andare per il verso giusto – la prestazione sanitaria. Un anno e mezzo d’attesa è un tempo enorme e ciò non rispecchia un singolo caso (il cosiddetto caso limite) ma rappresenta la regola, la cifra stilistica dell’approccio sanitario in questa provincia dalle infinite emergenze. Questo per dire che non si tratta d’un caso isolato. Non è l’immagine d’un singolo disagio – che se così fosse sarebbe la banalizzazione della banalità – ma la rappresentazione d’una “malapianta” che, affonda le radici in profondità e, produce il frutto (l’unico possibile) della migrazione sanitaria, che non vuol dire necessariamente ricorrere alle prestazioni mediche fuori regione (cosa che accade con sempre più frequenza) ma anche passaggio obbligato dal pubblico al privato. Laddove nel caso specifico della Tac coronarica ci sarebbe da sborsare poco più di trecento euro e attendere cinque giorni o al massimo una settimana.
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