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Quelle notti nel Mediterraneo: «Zuppa e stremata, ma felice». La storia dell’infermiera cosentina sulle rotte dei migranti

Nelle navigazioni momenti di gioco e pianto comunitario. Bisogna pensarle tutte per intrattenere i bambini a bordo

C’è una giovane cosentina in mezzo al mare. Si chiama Carmen Filice ed è un’infermiera impegnata con il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta nel Progetto “Passim” dedicato al soccorso in mare e, di conseguenza, alla salvaguardia della vita umana. «Il nostro compito è identificare e gestire tempestivamente le urgenze sanitarie in mare – spiega Carmen – trattando e stabilizzando il paziente fino all’arrivo in banchina. Dal 2009 medici e infermieri del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta sono imbarcati sulle unità della Guardia costiera italiana nel sud del Mediterraneo. Oltre 300 mila sono i migranti assistiti in questi quindici anni».
Non volevo accontentarmi Il cuore del Mediterraneo, soprattutto il più caldo sulle rotte dei migranti, non è proprio dietro l’angolo per una giovane cosentina. Carmen racconta com’è finita da Corso Mazzini e dall’università di Catanzaro al fronte bollente immigrazione. «Già ai tempi del tirocinio pensavo a un’infermieristica fuori dalle mura ospedaliere. Quell’ambiente mi stava stretto, voleva conoscere altre sfaccettature della professione. Non nascondo che a volte, soprattutto quando ci sono uscite molto lunghe e con il maltempo, pensi a quanto sia comodo lavorare in ospedale invece d’essere a bordo, zuppa d’acqua e stanchissima! Queste sensazioni, però, spariscono quando arrivi a terra o, ancora in navigazione, stringi una mano, tranquillizzi qualcuno, culli un bambino e scambi solo uno sguardo rasserenante. Emozioni non paragonabili a nessuna unità operativa, seppur complessa».
Carmen ha cominciato subito dopo la laurea, nel 2021, a Lampedusa. «Facevo la spola tra Calabria e Sicilia, poi col tempo sono aumentate sedi e squadre sanitarie, permettendomi di conoscere molti colleghi, alcuni diventati amici. Ho perso il conto delle miglia e dei km percorsi in tre anni, di aerei e traghetti, ma non ho perso l’entusiasmo con cui salgo a bordo».
Prima donne e bambini La giovane professionista apre uno squarcio dall’interno sugli sbarchi. «I più toccanti sono quelli con donne e bambini. Capita spesso che siano in gravidanza e i bimbi molto piccoli e quindi difficili da gestire in un ambiente così ristretto come una imbarcazione militare. Non mancano momenti di gioco, come di pianto comunitario! Bisogna pensarle tutte per poter intrattenere dei bambini che non parlano la nostra lingua e vedono solo persone in tuta bianca e mascherina. Anche per questo uso cuffiette colorate coi personaggi dei cartoni animati, così da attirare la loro attenzione e farli concentrare su qualcosa che non sia ciò che stanno vivendo. Capita che ciascuno di noi dica il proprio nome e poi cantiamo insieme (gli stessi motivetti ma in lingue diverse), giochiamo con i guanti gonfi e le coperte termiche, facciamo le ombre cinesi con le mani. In quelle ore riscopriamo giochi senza linguaggio ma forti di comunicazione. Arrivati in banchina ci salutiamo con un “ciao”, l’unica parola in italiano che riusciamo a scambiarci!». Noi aggiungiamo GRAZIE.

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