
«La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile». Con le parole di Corrado Alvaro, la moglie di Sergio Cosmai ha voluto inviare un messaggio alla numerosa platea della Provincia di Cosenza che oggi ha ricordato il direttore del carcere territoriale ucciso dalla 'ndrangheta.
Cosmai, chiamato a reggere il penitenziario bruzio negli anni '80, morì nel 1985 in un agguato, mentre andava a prendere la figlia a scuola. A quarant'anni dalla sua omicidio, Cosmai è stato ricordato nella sede della Provincia alla presenza di numerosi rappresentanti istituzionali. La presidente della Provincia Rosaria Succurro, in apertura della giornata commemorativa, sottolinea l’"importante occasione per riflettere sull'eredità morale e il coraggio di un uomo che ha sacrificato la sua vita nella lotta contro la criminalità organizzata».
Emozionante la testimonianza di Domenico Mammolenti, stretto collaboratore del direttore del penitenziario in quegli anni difficili, che ne ha ricordato soprattutto la dirittura morale e il senso del dovere di un servitore dello Stato. Per Succurro, Cosmai rappresenta per la comunità cosentina un faro di coraggio e determinazione: «La sua vita e il suo sacrificio ci ricordano che la lotta contro la criminalità organizzata è un dovere civico di ogni cittadino. Oggi, a 40 anni dalla sua tragica scomparsa, dobbiamo rinnovare il nostro impegno a favore della legalità e della giustizia, non solo per onorare la sua memoria, ma per garantire un futuro migliore alle nuove generazioni». Significativi gli interventi del direttore del carcere di Cosenza Maria Luisa Mendicino; di Vincenzo Capomolla, neo procuratore della Repubblica; del professore Ercole Giap Parini, direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Unical e del giornalista e scrittore Arcangelo Badolati. Badolati ha ricostruito i momenti cruciali di quel periodo difficile in cui è maturato l’agguato a Cosmai, dei mandanti, della «normalità di una famiglia normale spezzata» in modo così brutale e di un processo ai sicari colpevolmente «aggiustato».
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