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Le 57 misure cautelari per droga a Cosenza: il pentito che temeva di morire e le donne senza paura - Nomi e foto

Da una parte i pentiti e dall’altra le madri dei tossici e dei pusher. È un incrocio d’interessi quello che ha dato fiato all’inchiesta, denominata “Alarico”, coordinata dal capo della Procura bruzia, Mario Spagnuolo, e dal sostituto Giuseppe Cozzolino, che s’è conclusa, giovedì mattina, alle prime luci dell’alba, con 57 misure cautelari eseguite dai carabinieri del comando provinciale, diretti dal colonnello Piero Sutera, fra Cosenza e la provincia, ed in particolare a Carolei, Cerisano, Celico e Spezzano della Sila.

Conoscevano i vicoli del centro storico e avevano una certa esperienza nel campo degli stupefacenti Vincenzo De Rose e Francesco Noblea, i due pentiti le cui dichiarazioni hanno dato un buon contributo alle indagini svolte in quasi tre anni dai militari dell’Arma della Stazione principale.

Nella loro carriera, neanche tanto lunga a dire il vero, i due pentiti avevano acquisito una serie d’informazioni, affatto superficiali, dei canali d’approvvigionamento, dello stoccaggio della roba e delle piazze di spaccio. L’antico borgo era la loro base operativa quando ancora maneggiavano cocaina e hascisc, ma anche eroina e marijuana.

Tra i due, De Rose è quello più anziano (ha trentacinque anni) e il suo nome si trova scritto in due inchieste antidroga, “Poste Pay” del 2010 e “Job center” del 2015. Ha deciso di pentirsi, De Rose, perché temeva d’essere eliminato. In carcere gli avevano sussurrato all’orecchio che qualcuno gli stava preparando la festa. E così un bel giorno decise di cambiare vita. Sono circa quattro anni che il trentacinquenne collabora con la magistratura inquirente. Ieri mattina, poi, è finito in manette anche il padre, Pasquale.

Ha ventisette anni, invece, Francesco Noblea che fino all’inchiesta “Job center” aveva fatto parlare di sé per fatti annoverabili nella lista delle cose meno importanti. L’arresto per spaccio, nel 2015, è il punto d’arrivo di quel che potrebbe essere definito il suo cursus honorum. Prima d’allora era finito tra le pagine della cronaca per alcune rapine.

Il suo spirito irrequieto iniziò a manifestarsi già a diciott’anni. Era il 2 ottobre del 2012, quando si scagliò contro un agente della polizia municipale che gli aveva impedito il transito, con un ciclomotore, in una strada del centro dove era in corso una processione. Dopo la sfuriata scappò, ma venne intercettato dai carabinieri ai quali fornì le generalità del fratello, Kevin (destinatario ieri mattina d’una delle 57 misure cautelari).

La bugia venne scoperta nel giro di poco. Tornò a far parlare di sé, poi, due anni dopo. Quando venne trovato, in corso Mazzini, dai carabinieri, alla guida d’un auto, senza patente, e in compagnia d’un uomo che i militari tenevano sott’osservazione. Anche in quell’occasione Noblea alzò le mani contro i carabinieri. La sua carriera finì con l’inchiesta “Job Center”.

Alle dichiarazioni dei due pentiti sono seguite le denunce delle madri di alcuni tossici, nonché di alcuni pusher. Donne-coraggio, sono state definite, che temendo per la vita dei loro figli hanno deciso d’affidarsi allo Stato denunciando, ai carabinieri, la strana e complessa vita dei loro famigliari.

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