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Cosenza, gli ergastoli per la strage di via Popilia e i racconti dell'orrore di Franco Bevilacqua - Nomi e foto

“Franchino i Mafarda”: così gli zingari hanno sempre chiamato Franco Bevilacqua. E a lui, dopotutto, è sempre piaciuto quel richiamo al nome della madre. “Franchino” è sempre stato un “lupo”: occhi mobilissimi, movimenti del corpo controllati, fisico agile e asciutto, determinazione e ferocia senza pari.

Bevilacqua era a capo del commando armato di kalashnikov, pistole e fucili autore della strage di via Popilia nell'autunno del 2000. L'ex capo della criminalità nomade cosentina era a capo del gruppo di fuoco: successivamente arrestato, ha svelato tutti i retroscena della strage e i nomi dei complici.

Ieri la Corte di assise bruzia (presidente Paola Lucente; a latere Giovanni Garofalo) ha inflitto l’ergastolo ad Antonio Abbruzzese, Fiore Abbruzzese e Celestino Bevilacqua; trent’anni di reclusione sono stati invece comminati a Luigi Berlingieri e 28 a Saverio Madio (per quest’ultimo è stata esclusa la premeditazione).

Ha ucciso, tante volte. E l’ha confessato ai magistrati con quel suo singolare linguaggio capace di passare dal gergale dei nomadi allo zoppicante italiano infarcito di imprecazioni in dialetto cosentino.

Bevilacqua è stato “capo” e “azionista”: ha guidato il gruppo di “fucilieri” diventato il terrore, alla fine degli anni '90, degli equipaggi dei furgoni blindati portavalori in circolazione nell’Alta Calabria; è stato un importante narcotrafficante, lesto nel concludere affari con i “cugini” pugliesi della Sacra Corona Unita leccese. Ha gestito i rapporti con la ’ndrangheta egemone a Cosenza, tentando di far affiliare e riconoscere il proprio clan dai boss della vecchia generazione.

Franchino ha ucciso uomini e sezionato i loro corpi per farli sparire per sempre. È lui ad aver parlato ai pm delle “tecniche” più efficaci per disfarsi dei cadaveri delle vittime. Rileggere quelle confessioni fa venire i brividi ma offre la misura dello spessore criminale del personaggio: «Il maiale è proprio l'animale che non lascia tracce di un morto. Mangia tutto. I maiali basta lasciarli una settimana senza cibo e poi gli butti i morti già tagliati che odorano di sangue e dalla fame si mangiano tutto, pure i capelli. In mezz'ora non resta niente. Poi c'è la nafta mischiata con la benzina nella parte superiore del bidone che fa sparire tutto: viene acceso il fuoco, la persona viene fatta a pezzi e messa la dentro fino al consumo della nafta, così le ossa diventano polvere. Con l'acido, invece, rimangono i capelli perché la sostanza non riesce a distruggerli. Cioè brucia tutto tranne i capelli e diventa pericoloso perchè facendo l'esame del dna si può risalire all'identità della vittima. Infine, cè la calce che brucia il corpo però rimane lo scheletro».

Bevilacqua chiude così: «Noi ci stavamo organizzando per preparare i maiali. Stavamo comprando tre maiali per tenerceli in quella zona...».

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