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La mafia della Sila: sequestro beni da 50mln agli Spadafora, affiliati della cosca Farao-Marincola

La mafia della montagna. Le cosche crotonesi hanno per decenni gestito la Sila, controllandone il mercato della droga, condizionando l'imprenditoria agricola, gestendo la vendita, la guardiania dei fondi rustici e disciplinando il mercato di ovini e bovini. Una delle attività più floride ha riguardato il taglio degli alberi e la vendita del legname. Un settore nel quale la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, ha adesso assestato un colpo durissimo chiedendo e ottenendo il sequestro di beni mobili e immobili per 50 milioni di euro all'azienda "Spadafora" riconducibile a un gruppo familiare collegato - secondo la magistratura antimafia - alla cosca Farao Marincola di Cirò.

Alcuni componenti della famiglia Spadafora sono stati posti sott'inchiesta e condannati  a conclusione della maxinchiesta "Stige" che, insieme alla operazione "Six Town", ha ricostruito le infiltrazioni delle 'ndrine crotonesi nell'Altopiano.  In azione, stamane, i finanzieri del comando provinciale di Cosenza, diretti dal colonnello Danilo Nastasi e dal tenente colonnello Michele Merulli.

La normativa antimafia prevede l’applicazione delle misure di prevenzione, anche patrimoniali, a carico di soggetti ritenuti, sulla base di elementi di fatto, pericolosi socialmente ed abitualmente dediti a traffici delittuosi ovvero che, per la loro condotta ed il tenore di vita, debba ritenersi che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa. In particolare, così come è emerso dalle indagini della Dda, la famiglia Spadafora – a mezzo delle imprese gestite, quali la “F.lli Spadafora S.r.l.", la “Spadafora Legnami S.r.l.", la “Famiglia Spadafora" società semplice agricola e le altre imprese individuali a loro intestate – governava, in regime di monopolio ‘ndranghetistico, l’offerta di legname e prodotti derivanti dai tagli boschivi operati nel territorio silano.

A parare del procuratore Gratteri e dei suoi magistrati (Vincenzo Capomolla, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio) gli Spadafora facendo leva sull’appartenenza alla ‘ndrina di San Giovanni in Fiore ed in virtù della forza intimidatoria che da ciò ne deriva, costituivano un vero e proprio cartello di controllo mafioso dei boschi, manipolando ed indirizzando l’aggiudicazione delle gare d’appalto boschive con metodo mafioso, consistito, tra l’altro, nel porre in essere danneggiamenti alle ditte che non si allineavano alle direttive imposte dalla criminalità organizzata.

Inoltre, proprio grazie alla gestione dei boschi della Sila, gli Spadafora erano stati utilizzati per garantire, negli anni, la latitanza di elementi di spicco della cosca Farao-Marincola a cui, di fatto, facevano capo. Per tali accuse, lo scorso nel febbraio 2021, gli Spadafora sono stati condannati, dal Tribunale di Crotone, a più di 60 di carcere; nello specifico, il capo famiglia, Spadafora Luigi, (attualmente agli arresti domiciliari) alla pena di anni 15 di reclusione, mentre i suoi tre figli, Pasquale, Rosario e Antonio (ad oggi, tutti detenuti in carcere), rispettivamente a 20, 14 e 14 anni di reclusione. Su di loro grava, altresì, la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, ancora da scontare poiché detenuti.

Il sequestro odierno è stato possibile grazie al lavoro certosino svolto dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Cosenza, i quali, sotto la direzione della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, hanno svolto accertamenti patrimoniali nei confronti degli appartenenti alla cosca condannati, nonché dei loro prossimi congiunti, esaminando e approfondendo le loro variazioni patrimoniali nell’arco temporale dal 2005 al 2017. Il lavoro svolto ha evidenziato una continua e crescente sproporzione tra gli esigui redditi dichiarati negli anni dai soggetti interessati ed i loro rispettivi patrimoni immobiliari, mobiliari e finanziari, accumulati nel tempo. Infatti, lo screening patrimoniale posto in essere dalle Fiamme Gialle cosentine sugli imprenditori affiliati alla cosca – effettuato mediante tecniche investigative informatiche, a cui, successivamente, sono seguiti riscontri “sul campo” a mezzo sopralluoghi ed appostamenti – ha fatto emergere l’inadeguatezza dei ricavi e degli utili comunicati al fisco, rispetto ai beni e alle disponibilità economiche e patrimoniali accumulate progressivamente negli anni.

L’esecuzione del  provvedimento emesso dal Tribunale per le misure di prevenzione di Catanzaro ha, pertanto, consentito il sequestro di 6 complessi aziendali (di cui 3 società, 2 ditte individuali, n.1 azienda agricola e partecipazioni societarie), n. 203 immobili (tra terreni e fabbricati), n. 60 automezzi (autovetture, autocarri, rimorchi e mezzi agricoli), nonché quote societarie e disponibilità finanziarie di varia natura (conti correnti bancari, titoli azionari, buoni fruttiferi, libretti di risparmio e assicurazioni), per un valore complessivo stimato di oltre 50 milioni di euro.

Alle vicende imprenditoriali e giudiziarie degli Spadafora è collegata la posizione del maresciallo dei carabinieri forestali, Carmine Greco, condannato a 13 anni di reclusione per mafia nel dicembre scorso. Greco, 55 anni, originario di Longobucco ma residente a Cosenza,  già sospeso dal servizio, è stato ritenuto dal Tribunale di Crotone (presidente Marco Bilotta) responsabile di concorso in associazione mafiosa, favoreggiamento, rivelazione e omissione di atti di ufficio. Il sottufficiale, per lungo tempo comandante della stazione di Cava di Melis, posta in territorio del comune di Longobucco, era finito nelle maglie della maxinchiesta “Stige” condotta negli anni scorsi dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, contro le cosche del Cirotano. Greco, difeso dagli avvocati Franco Sammarco e Antonio Quintieri, avrebbe favorito - secondo la ricostruzione del pm antimafia Paolo Sirleo -   in più occasioni i titolari proprio della impresa boschiva Spadafora di San Giovanni in Fiore. Da qui la condanna chiesta e ottenuta dalla Dda di Catanzaro

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