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Cosenza, i custodi delle ultime parole dei pazienti

La lotta di medici e infermieri contro il virus e la morte condotta per 15 mesi nel reparto di Rianimazione dell’Annunziata

Una sfida costante con la morte. Un ballo senza musica scandito dal rumore sordo dei respiratori e dal ticchettio dei macchinari che va avanti da 15 lunghissimi mesi. I volti, gli occhi e le rughe raccontano della lotta per la vita ingaggiata dai medici, gli infermieri e gli operatori sanitari di supporto del reparto di Rianimazione del più grande ospedale della Calabria settentrionale. Uomini e donne vocati al rischio e al sacrificio, guidati da un primario – Pino Pasqua – dai modi gentili e il tratto signorile: lui e il suo personale sembrano uguali. Mai uno scatto d'impazienza, una parola fuori posto o l'ostentazione di un ruolo. Niente. Nel reparto in cui la vita resiste strenuamente all'incedere devastante delle malattie, tutti combattono – sanitari e pazienti – con generosità e condivisione come farebbero i soldati di un'ultima ridotta.

Gli infermieri

Quando entriamo a guardare, nascosti negli scafandri che ti fanno sentire un palombaro sepolto sotto decine di metri d'acqua, lontani dal sole e illuminati solo dai neon delle sale, incontriamo Nicoletta Marasco, una infermiera di Nicotera. «Sono qui da un anno e mezzo» racconta protetta dalle bardature «e sono affezionata a questo reparto. Durante la prima fase della pandemia non sono tornata a casa per tre mesi. Mettevo a rischio i miei cari e mi sarei dovuta allontanare dai pazienti...Meglio stare qua, con gli altri». Ecco il senso di una squadra, che non è un plotone ma un'armata. E lo si capisce incrociando lo sguardo di Santino Gerbasi, pure lui infermiere. «Non sono un credente» ci confessa « ma questa esperienza con i malati Covid mi ha insegnato quanto importante sia per chi soffre avere fede. Ci chiedevano santini e noi glieli portavamo. Facevamo pure venire i preti per offrir loro una parola di conforto». E la paura? Quella di essere contagiati dal virus? «Ho sempre paura di infettarmi ma la paura ti protegge, ti fa stare più attento». E la condivisione del rischio e dell'angoscia unisce, come in battaglia trasforma i soldati in “fratelli”. «La pandemia ci ha unito ancor di più» conferma Ciro Pietrocola, referente e coordinatore del gruppo di infermieri. Ciro è un uomo di poche parole, dagli occhi scintillanti e buoni. È accanto al primario con cui s'intende a memoria.

Il primario

Tra queste stanze della terapia intensiva, ci si capisce guardandosi anche solo per un attimo. «I pazienti si nutrivano dei nostri occhi» svela Pino Pasqua «noi eravamo e siamo il loro sostegno, il legamo con il mondo e con la vita. Tanti pazienti hanno mantenuto la voglia di vivere aggrappandosi alle nostre voci fino alla fine, rimanendo lucidi sino all'ultimo momento. Un paziente, un medico come me, mi ha reso una sorta di testamento spirituale che non dimenticherò mai». Ma come si sopporta la pressione di un lavoro così importante, il peso di una responsabilità così grande? «Ogni vita umana perduta» risponde Pasqua «è una sconfitta. Dobbiamo sempre sapere di aver fatto tutto il possibile per salvare i nostri pazienti, che non sono solo malati ma che diventano parte del nostro quotidiano, nostri amici». Ma qual è il rapporto con Dio di un medico che dirige un reparto del genere? «Credo in Dio, mi aiuta molto. Anzi, ci aiuta molto. La fede ci ha aiutato ad andare avanti in questi mesi terribili, quando la terza ondata ha mostrato il volto di una patologia diversa e più aggressiva».

La prima vaccinata

Tra i corridoi della Rianimazione, riconosciamo il volto di Barbara Modafferi, l'infermiera che è stata la prima vaccinata della provincia di Cosenza. È originaria della provincia di Reggio Calabria ed ha lavorato tantissimo in questo terribile anno e mezzo di pandemia. «Abbiamo vissuto con una paura costante... vedevamo i pazienti morire» rivela. «Ho pregato molto in questi mesi, è stato un percorso difficilissimo. Ogni giorno, però, ho pensato che avrei voluto fare di più di quanto stavo facendo. Ci siamo spesi tutti al massimo, fino allo spasimo». Non sono famosi questi “eroi” silenziosi: non partecipano ai programmi televisivi, non cercano notorietà. Perciò abbiamo deciso di raccontarveli. Rosa Gallo è un medico anestesista: ha gli occhi grandi, il viso luminoso. «Le relazioni umane vengono prima di tutto» ci spiega, «aiutano i pazienti a sopportare il peso di quanto sta accadendo ed i sanitari a non mollare». Come darle torto? Quanto contano una parola di conforto o d'incoraggiamento, un sorriso...

I medici

Cosimo Stefano, pure lui medico del reparto, è stato accanto a tantissimi pazienti, notte e giorno. «Ho visto tante persone andare via per sempre» ci confessa. «Il Covid è una patologia che ci ha messo in difficoltà sia fisiche che psicologiche. Per mesi siamo rimasti lontani dai nostri familiari per tenerli al riparo dal contagio e per restare vicini ai pazienti». Ma ci sono pazienti di cui serba un ricordo particolare? «Si, mi viene spontaneo pensare al cantautore di San Giovanni in Fiore, Danilo Monteleone. Mi è rimasto nel cuore. Sembrava che stesse migliorando poi non ce l'ha fatta. Lui sentiva..., si è accorto che stava finendo. Mi ha raccontato in quegli ultimi giorni tutta la sua vita. Avrebbe voluto continuare a vivere, comporre, cantare...». E poi, qualcun altro? «La signora che da contagiata aveva dato al mondo una bimba, con un parto cesareo. E' stata da noi, poi è morta a Catanzaro. Mi parlava della sua gioia per la maternità, dei progetti che avrebbe voluto realizzare...». Cosimo, ci lascia con gli occhi tristi: entra nella stanza-spogliatoio indossa la tuta e torna dentro, tra i pazienti. Bisogna continuare a lottare contro la morte.

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