Via Montegrappa si apre tra vecchi e nuovi palazzi che segnano la linea di confine tra il centro storico di Cosenza e la città moderna che negli anni è cresciuta verso Nord. Un luogo attraversato quotidianamente dalla pazienza, tra uffici pubblici, bar e abitazioni. Un quartiere che si è spopolato e ripopolato negli anni, con migrazioni e ritorni da vita a vita. Una storia di comunità che ieri si è improvvisamente infilata in un incubo. Lo ha fatto quando il traffico e le voci della domenica di carnevale sono sparite all’ora di pranzo mentre sugli smartphone cominciava a viaggiare la notizia d’un omicidio, proprio lì, tra quelle case. Una donna avrebbe ucciso un uomo, un vicino. La tragedia trasforma i connotati della strada che diventa afona con la gente ammutolita davanti all’arrivo delle gazzelle dei carabinieri che blindano il quartiere. I detective si dirigono verso l’attico di un elegante edificio giallo e verde al civico 7. Perché è proprio da lì, dal quinto piano di quella casa gialla e verde che comincia il racconto dell’orrore. Una narrazione che assume i contorni di un delitto in mezzo ai misteri.
I fatti
L’omicidio di San Valentino è un garbuglio di trame che si impastano in mezzo ai ricordi confusi degli ultimi cinque giorni. Tiziana Mirabelli, 47 anni, cosentina, attivista del movimento “Prendo casa”, è la presunta assassina reoconfessa. Rocco Gioffrè, 75 anni, originario di San Fili, pensionato, è la vittima. Abitavano entrambi in quel palazzo, si conoscevano da tempo, ma per adesso non si sa fino a quanto potessero essere stati amici. Il “corpo del reato” è un coltello da cucina che la donna ha già consegnato ai carabinieri, ieri mattina, dopo essersi costituita. Accompagnata dal suo legale, l’avvocato Cristian Cristiano, ha subito ammesso il delitto: «Ho ucciso un uomo, il mio vicino. Ma l’ho fatto solo per difendermi». Il resto lo spiegherà, più tardi, al maggiore Antonio Quarta e al pm Maria Luigia D’Andrea che l’hanno ascoltata nella caserma “Grippo” mentre gli investigatori scientifici del Nucleo speciale del Reparto provinciale dell’Arma passavano al setaccio il suo appartamento e quello della vittima. I “camici bianchi” sono andati alla ricerca di prove per ricostruire una dinamica ancora incerta. Davanti agli inquirenti, Tiziana ha riavvolto i fili della memoria addentrandosi nel labirinto di una trama di difesa ma non di negazione: «È successo martedì, a casa mia. Rocco mi voleva, pretendeva un rapporto sessuale. Io mi sono difesa, ho lottato...». La donna ha raccontato d’aver afferrato quel coltello col quale avrebbe affrontato l’uomo, colpendolo mortalmente al torace e alla gola. Una reazione d’impeto, probabilmente, non voluta. In quel momento il mondo sarebbe rotolato addosso a Tiziana Mirabelli, davanti a una realtà per chiunque indicibile e inaffrontabile. Per questo, non avrebbe trovato il coraggio di chiamare i soccorsi, di parlare con i carabinieri. E, per cinque giorni, avrebbe vissuto col morto in casa. Cinque giorni in silenzio, tra i rimorsi e la paura dì essere scoperta. Muta anche con i figli della vittima che sono andati a cercare più volte il padre e più volte non hanno avuto risposta. «Non lo vedo da un po’», avrebbe ripetuto la donna. E, invece, il cadavere di Rocco Gioffré era nascosto nel suo appartamento. Una resistenza psicologica che è franata dopo cinque giorni. Poi, la decisione di contattare l’avvocato e di costituirsi per denunciare il crimine.
Riscontri
Il capo dei pm Mario Spagnuolo ha disposto una visita medica sull’indagata alla ricerca di tracce evidenti della lite di martedì. Il procuratore ha pure ordinato l’autopsia sulla vittima. L’esperto andrà alla ricerca dei segni su quel corpo martoriato dai fendenti.
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