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Servono 40mila lavoratori per salvare la frutta, i giovani di Coldiretti a Cosenza

Nei frutteti italiani con l’arrivo dell’estate servono almeno 40 mila lavoratori anche per colmare la mancanza di manodopera che ha colpito le campagne lo scorso anno con la perdita rilevante dei raccolti agricoli nazionali. E' quanto afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, nel chiedere subito nuovi ingressi in riferimento alla nuova programmazione dei flussi di immigrazione decisa dal Consiglio dei Ministri, in occasione della giornata nazionale della frutta italiana nel villaggio della biodiversità contadina a Cosenza. «E' molto importante- ha sottolineato Prandini - che il Consiglio dei ministri abbia recepito la nostra proposta di programmazione triennale dei flussi per consentire una più agevole pianificazione del lavoro da parte delle aziende agricole». Il settore ortofrutticolo, sottolinea la Coldiretti, garantisce all’Italia 440 mila posti di lavoro, pari ad oltre il 40% del totale in agricoltura, con un fatturato di 15 miliardi di euro l’anno tra fresco e trasformato, il 25% della produzione agricola totale, grazie all’attività di oltre 300 mila aziende agricole su più di 1 milione di ettari coltivati. E’ un settore ad elevata intensità di lavoro con operazioni difficilmente meccanizzabili che richiedono manualità e professionalità, con un bisogno di giornate lavorative, che oscilla tra le 80 per le mele e oltre 510 per le fragole. Coldiretti stima che un frutto su quattro venga raccolto da mani straniere nei molti «distretti agricoli», dove i lavoratori immigrati sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale, come i casi della raccolta delle fragole nel Veronese, delle mele in Trentino, delle pesche e delle pere in Emilia Romagna, degli agrumi nel meridione.

In Italia scomparsi 100mln di piante da frutta in 15 anni

Addio a oltre 100 milioni di piante di frutta fresca in Italia negli ultimi quindici anni con la scomparsa che riguarda tutte le principali produzioni, dalle mele alle pere, dalle pesche alle albicocche, dall’uva da tavola alle ciliegie, dalle arance alle clementine mentre in controtendenza tengono solo il cedro e il bergamotto. E’ quanto emerge dall’analisi presentata in occasione della giornata nazionale della frutta italiana nel villaggio della biodiversità contadina a Cosenza dove sono scesi in piazza i giovani agricoltori della Coldiretti per fermare la strage di piante da frutto che sta provocando la desertificazione dei territori nelle regioni italiane con drammatici effetti sui consumi nazionali e sul clima, l’ambiente, il paesaggio e la salute degli italiani.

Pesano i rincari energetici

Sul settore pesano poi i rincari energetici che spingono i costi correnti per la produzione della frutta che arrivano ad aumentare del 42% con un impatto traumatico sulle aziende agricole. L’impennata dei costi di produzione ha colpito tutte le fasi dell’attività aziendale - rileva Coldiretti - dai carburanti per la movimentazione dei macchinari alle materie prime, dai fertilizzanti agli imballaggi. Gli incrementi non hanno risparmiato neppure la plastica per le vaschette, le retine e le buste, la carta per bollini ed etichette, il cartone ondulato come il legno per le cassette.

L'emergenza climatica

Senza dimenticare gli effetti dei cambiamenti climatici e il moltiplicarsi degli eventi estremi con danni sui raccolti anche a causa degli insetti e dei patogeni alieni e le difficoltà di reperimento della manodopera. A causa del surriscaldamento sono arrivati parassiti «alieni», mai visti prima, che si sono accaniti sulle produzioni nazionali, dal cinipide galligeno che ha decimato le castagne alla Tristeza degli agrumi e molti altri come testimonia la recente la biblica invasione nel Nord Italia della «cimice marmorata asiatica».

Un trend pericoloso anche dal punto di vista ambientale con degrado e all’abbandono che favorisce le alluvioni e le frane. A preoccupare è anche l’impatto climatico: le coltivazioni, come le foreste, possono generare benefici ecosistemici che non sono solo la rimozione di CO2 ma, ad esempio, il miglioramento della biodiversità e della qualità dell’aria, secondo un’analisi di Rete Clima. Una pianta adulta - precisa Coldiretti - è capace di catturare dall’aria dai 100 ai 250 grammi di polveri sottili e un ettaro di piante elimina circa 20 chili di polveri e smog in un anno. In altre parole quindi con la strage di piante da frutto è venuta a meno in Italia la capacità di assorbimento di ben 2 milioni di chili di inquinanti all’anno.

La concorrenza sleale delle importazioni estere

Ma a colpire il settore è anche la concorrenza sleale delle produzioni straniere, con la frutta Made in Italy stretta nella morsa del protezionismo da un lato e del dumping economico e sociale dall’altro. Le pere cinesi Nashi, ad esempio, arrivano regolarmente nel nostro Paese, ma quelle italiane non possono andare in Cina perché non è stata ancora concessa l’autorizzazione fitosanitaria. E finchè non è chiuso il dossier pere non si può iniziare a parlare di mele, perché - spiega la Coldiretti - i cinesi affrontano un dossier alla volta. Ma porte sbarrate anche ai kiwi in Giappone perché non è ancora completato il dossier fitosanitario aperto dal 2008, in barba all’accordo di libero scambio Jeta siglato dall’Unione Europea con il governo nipponico.

In Calabria il 90% della produzione mondiale di bergamotto

Complessivamente la superficie italiana coltivata a frutta si è ridotta a 560mila ettari con la perdita di oltre centomila ettari rispetto a 15 anni fa con conseguenze sul primato produttivo nazionale in Europa che si estende dalle mele alle pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle castagne fino al cedro e al bergamotto la cui produzione mondiale si concentra per il 90% in Calabria. La situazione peggiore si registra sulle arance, con 16,4 milioni di alberi abbattuti, sulle pesche, dove sono scomparsi quasi 20 milioni di piante, e sull'uva, dove mancano all’appello 30,4 milioni di viti, secondo la stima Coldiretti. Pesante anche la situazione per nettarine e pere dove ne sono spariti rispettivamente 14,9 milioni e 13,8 milioni.

Il mancato rispetto delle normative nazionali

Alle barriere commerciali si aggiungono dunque i danni causati dalla concorrenza sleale con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea. Un esempio sono le nocciole dalla Turchia, su cui pende l’accusa di sfruttamento del lavoro delle minoranze curde. Ma ci sono anche l’uva dell’Argentina e le banane del Brasile gravati da pesanti accuse del Dipartimento del lavoro Usa per utilizzo del lavoro minorile ma con i quali l’Ue ha comunque avviato l’accordo commerciale di libero scambio Mercosur.

«E' necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute, secondo il principio di reciprocità» ha affermato il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini. L’export di frutta fresca vale 3,8 miliardi che - continua Prandini - potrebbero aumentare se si riuscisse a superare il gap logistico e infrastrutturale con le opportunità offerte dal Pnrr per garantire trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo».
«La crisi della frutta italiana mette a rischio non solo la salute dei cittadini ma anche il futuro delle oltre diecimila giovani imprese agricole che hanno scelto di investire nel settore ortofrutticolo, il più gettonato dagli agricoltori under 35» ha dichiarato la delegata dei giovani della Coldiretti Veronica Barbati nel sottolineare che si tratta di «una nuova generazione di imprenditori che hanno assicurato in questi anni un apporto importante dal punto di vista dell’innovazione di prodotto e della sostenibilità delle coltivazioni che non possiamo ora permetterci di perdere».

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