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Centro storico di Cosenza ai margini. Lo sfogo: “L'urbanizzazione ci ha distrutto”

Artigiani e commercianti indicano la strada per rilanciare la città vecchia.

Passeggiare nel centro storico significa imbattersi in storie retrò. Una donna con occhi chiari e accento dell’est entra in un bar e chiede un’insolita cortesia: ricevere il corriere al suo posto. I ritmi più compassati sembrano anacronistici rispetto a quelli vissuti sulla vicina corso Mazzini. Due mondi in contrapposizione. La parte “vecchia” conserva una forte cooperazione sociale, connaturata agli edifici che si sostengono l’un l’latro.
Difficile percepire il tessuto sociale per chi vive all’esterno. Gli esercenti però non vorrebbero sentirsi più periferia. L’ossimoro è proprio questo: il centro, lasciato ai margini. “Ha inciso in maniera particolare l’urbanizzazione – spiega Umile Trausi, commerciante di articoli religiosi, attivo da 34 anni nel centro storico – perché la città si è sviluppata a nord mentre a sud non ha avuto la stessa espansione. Non vi è stata continuità di finanziamenti per compiere gli interventi di manutenzione ordinari e straordinari necessari. Ancora oggi le condotte fognarie risalgono all’epoca borbonica. Gli schieramenti politici hanno evidenziato un disamore verso questo patrimonio nonostante sia spesso il loro cavallo di battaglia. Lo spopolamento e l’impoverimento sociologico e culturale hanno ridotto il centro storico in un ghetto. Bisogna recuperare la memoria. Siamo diventati zona di passaggio. Entrare qui significa fare toccata e fuga. Con politiche specifiche e un presidio stabile si può creare un indotto importante pure per le attività economiche e produttive. I comitati sorti si sono rivelati una voce nel deserto”. Uno in particolare, il Kaep (comitato attività economiche e produttive), è nato ad agosto 2018 per salvaguardare commercianti e artigiani.
Alcune storie testimoniano che si può restituire “vita” al centro storico. Annalisa Librera, a settembre 2017, con ostinatezza ha aperto una profumeria artistica continuando la tradizione di famiglia. “Una scelta di pancia sulla quale ha influito l’amore per questo locale, notato ben prima dell’apertura. Non figurava neppure negli uffici catastali. Fare impresa nel centro storico si può, bisogna puntare su una proposta differente, di nicchia. Vivo qui da 20 anni e non potrei farlo altrove. Le istituzioni ripongono verso di noi scarsa attenzione. L’accesso dall’Arenella è stato chiuso comportando grossi disagi, l’ascensore del parcheggio sul Lungo Crati non è mai stato installato”.
Radicata da tempo sul territorio la bottega di Giuseppe Salvati, calzolaio di terza generazione. Prima di lui l’attività è stata gestita dal nonno, suo omonimo, e dal papà, Antonio Silvestro. “È difficile lavorare in una zona diventata periferica, sopravvivo perché realizzo lavori particolari. Sono cresciuto in questa bottega, mi ha sempre spinto la passione. Quella che ora non accende mio figlio, musicista. Il centro storico è visto con pregiudizio, chi arriva non si sente sicuro”.

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