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I docenti in fuga da Kabul ospiti a Rende FOTO

L’Università della Calabria ha accolto studenti, professori e ricercatori scappati dal paese asiatico dopo l’avvento dei talebani

L’ateneo dell’accoglienza. L’Univesità della Calabria ha aperto le porte ai profughi universitari afgani. Uomini e donne costretti a lasciare la capitale del loro paese sugli aerei militari italiani per scampare alla furia integralista dei talebani. Gli studenti coranici - armati e sostenuti dai servizi segreti pakistani - hanno deciso di restaurare una oligarchia teocratica alla guida del paese asiatico. Un governo oscurantista in cui lo studio e la ricerca sono vietati alle donne e quelli ancora possibili da esercitare nelle sedi accademiche da parte degli uomini è condizionato dai veti e dalle censure dei capi religiosi. Insomma, un disastro. «Quando i talebani hanno occupato l’Afghanistan e sono entrati a Kabul» raccontano ricercatori e professori ora sistemati ad Arcavacata « la situazione si era fatta terribile, e noi, in quanto professori universitari, eravamo particolarmente spaventati. L’esercito italiano ci ha letteralmente salvato e ci ha portato prima in Pakistan, poi a Roma e infine in Calabria. Qui siamo entrati in contatto con altri docenti dell’università della Calabria e abbiamo avuto occasione di parlare della situazione del nostro Paese e della nostra in particolare».
Ma come si è arrivati a prevedere una integrazione dei docenti asiatici nel mondo accademico dell’Unical? Lo spiega il professore Alberto Ventura, ordinario di storia dei Paesi Islamici. «Dopo il 15 agosto, quando i talebani hanno preso possesso della capitale Kabul, molti in Italia si sono interessati alla questione afgana, hanno organizzato eventi, discussioni conferenze. Noi abbiamo pensato che dovessimo fare qualcosa in più, per quel poco che ci veniva permesso. E cioè di prendere contatto con alcuni di questi rifugiati, che erano professori universitari nel loro Paese, cercare di coinvolgerli nell’intento - come università della Calabria - di dar loro la maggiore assistenza possibile. E così è stato».
«Come ragazza afgana - dice invece la giovane aspirante studentessa Hafiza Mohibe - ho incontrato molti problemi nella mia vita; così come tutte le donne afgane. La mia speranza è quella di continuare la mia educazione, in particolare attraverso l’iscrizione all’università e il conseguimento di una larea triennale. Attraverso questo percorso voglio continuare ad essere un punto di riferimento per la mia gente».

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