«Hanno vinto loro, hanno vinto i ragazzi». Quella che apparentemente potrebbe somigliare a una resa - perché è la frase pronunciata da un prof, a margine della manifestazione studentesca che ha invaso il centro di Cosenza - in realtà non è neanche lontana parente della rassegnazione. Perché il docente in questione, Claudio Dionesalvi, accompagna la riflessione con un sorriso che “buca” la mascherina e chiarisce il concetto. “Hanno vinto” ha un'altra accezione, ovvero: “Sono riusciti a farsi ascoltare”.
“I ragazzi ci chiedono ciò che è vita”
«Ed è quello che dovrebbe fare la scuola», prosegue il prof Dionesalvi, tra gli insegnanti scesi al fianco dei manifestanti nel giorno in cui i rappresentanti delle scuole di tutta la provincia hanno scelto di sostenere la causa degli studenti del “Valentini-Majorana” di Castrolibero. La studentessa che ha denunciato le molestie sessuali da parte di un prof è andata “oltre”. Ha contribuito a scoperchiare un vaso di Pandora che non riguarda solo la scuola al confine con il capoluogo e la preside Maletta (finite entrambe nel tritacarne dell'opinione pubblica) ma tutta l'Istituzione, arroccata in difesa dei suoi principi burocratici, schiava delle scartoffie e molto meno “umana” rispetto a quanto necessiterebbe. «I nostri ragazzi ci chiedono di essere ascoltati. Torniamo alla scuola di un tempo, quella che contemplava anche lezioni all'aperto e passeggiate, sempre salvaguardando i contenuti, perché il Covid ha levato loro due anni di formazione. Ci chiedono di fare teatro, musica, di parlare delle questioni di genere. I ragazzi ci chiedono ciò che è vita».
“Sosteniamo una giusta causa”
In mezzo al corteo ci sono ragazze e ragazzi molto giovani. Studenti e studentesse di primo superiore che espongono cartelli e sorridono a favore di telecamera. Non per vezzo, ma perché credono in ciò che stanno sostenendo, ovvero «una giusta causa». Sono al fianco di Jennifer e si mettono dei panni delle ragazze che hanno subito molestie. «Non riusciamo a farcene una ragione e siamo qui per difendere noi stesse e anche la scuola». Perché quella stessa scuola ha bisogno di ripartire, con maggiore chiarezza e consapevolezza di ciò che non funziona.
Fotoservizio Franco Arena
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