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Un pantalone da...15mila euro

Un pantalone da...15mila euro

Può un normalissimo pantalone, di qualità sicuramente non eccelsa, arrivare a costare la bellezza di 15mila euro? Sì, almeno se si entra per propria responsabilità nei meandri della giustizia italiana. Oscuri cunicoli contraddistinti soprattutto dai tecnicismi.

Tutto ha inizio nella giornata dell’Immacolata 2016, quando il diciottenne Didi Silviu Marinel viene beccato nel centro commerciale Metropolis con un pantalone appena portato via da un negozio d’abbigliamento. Un capo da 29,90 euro dal quale il ragazzo aveva levato la classica placca antitaccheggio, azione messa a segno per evitare di far scattare l’allarme dell’esercizio commerciale. Proprio l’aver forzato quella placchetta metallica è costata al diciottenne l’aggravante nella denuncia a piede libero per furto. Ma nel frattempo, vista l’entità del danno non propriamente enorme, Marinel ripaga tutto nella speranza di ridimensionare il più possibile i suoi problemi con la giustizia. E non a caso, accogliendo la tesi difensiva dell’avvocato Michelangelo Russo, il pubblico ministero chiede al gip l’archiviazione delle accuse. Il giudice per le indagini preliminari, tuttavia, non è d’accordo soprattutto a causa d’un vizio di forma nell’istanza del pm. E per questo motivo dispone l’imputazione del giovane romeno. È in questo preciso frangente che entra in moto la macchina burocratica, spingendo il pubblico ministero a vergare un decreto penale di condanna poi vidimato dal gip. L’atto prevede sostanzialmente la conversione della pena di 30 giorni in una multa che, eseguiti tutti i calcoli di legge, fa lievitare la somma imposta al diciottenne fino all’asticella dei 15mila euro. Uno sproposito, seppur coi crismi della legalità, rapportato a quei 29,90 euro dovuti per il pantalone e il resto per la riparazione della placca antitaccheggio. Ed è esattamente questo il motivo che adesso spinge l’avvocato Russo a proporre appello, ribadendo ancora una volta la lieve entità del fatto e l’avvenuto ristoro del danno. Una mossa che nasce dalla precisa volontà di risparmiare al suo assistito il pesante esborso.

La vicenda non è quindi ancora chiusa. Ma rimane lì a dimostrare quelli che, almeno agli occhi della popolazione, risultano come misure decisamente poco efficaci rispetto ai reati contestati. Una durezza che in tanti altri casi, ritenuti decisamente più gravi, i Tribunali non riescono e a volte non possono proprio mostrare nei confronti di chi sbaglia e va punito. Per non parlare dell’intasamento che si va ulteriormente a creare negli uffici giudiziari, costretti a lavorare per mesi e mesi anche sul tentato furto di un pantalone da 30 euro. Inezie fino a quando ci si rende conto del rallentamento subìto dall’intero sistema giustizia. Perché tante risorse magari potrebbero essere impiegate in faccende decisamente più importanti e dai risvolti maggiormente incisivi.

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