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Le trame della ’ndrangheta montana svelate da due collaboratori di giustizia

Le trame della ’ndrangheta montana svelate da due collaboratori di giustizia

I due pentiti di montagna. Abituati a far applicare le “regole” della ’ndrangheta pure tra le amene valli della Sila. L’uno boss conclamato, l’altro fratello d’un padrino in ascesa. Il primo si chiama Francesco Oliverio, al quale i cirotani affidarono la riapertura del “locale” di Belvedere Spinello, rimesso in piedi dopo una “sospensione” decisa nel 1988 e durata sino al 2005; il secondo è Vittorio Spadafora, 33 anni, di San Giovanni in Fiore, fratello prediletto di Giovanni Spadafora insediato come “capo” della ’ndrina sangiovannese dai “compari” del crotonese. Al germano era demandato il compito di controllare non solo gli “affari” di San Giovanni ma pure di Lorica e Camigliatello. Questi due collaboratori di giustizia hanno fornito un apporto significativo alla prima vera indagine condotta sulla ’ndrangheta operante tra i pendii e le balze del massiccio montuoso calabrese. Il procuratore Nicola Gratteri, l’aggiunto Vincenzo Luberto e il pm antimafia Domenico Guarascio con l’inchiesta “Six towns” hanno dimostrato l’esistenza sull’altopiano di un’associazione mafiosa potente e feroce. Un gruppo responsabile di estorsioni, traffico di droga e imposizioni d’ogni sorta funzionalmente dipendente dal “locale” di Belvedere Spinello. Spiega il pentito Oliverio: «Da Belvedere Spinello dipendevano le ‘ndrine distaccate di San Giovanni, Cerenzia, Caccuri, Rocca di Neto e Castelsilano». A Giovanni Spadafora era stata assegnata la “reggenza” dell’area silana ricadente nel territorio cosentino. L’uomo, autista di Antonio Dragone, il padrino di Cutro rivale storico di Nicolino Grande Aracri, era scampato all’agguato costato la vita al suo “capo” nel 2004. E proprio per questo la nomina del fratello dell’odierno pentito non era andata giù a Grande Aracri. Presentatosi a rapporto dal boss dei boss nel febbraio e marzo del 2013, il “reggente” di San Giovanni venne infatti trattato con minacciosa sufficienza. «Facevi l’autista a Dragone » gli disse Grande Aracri guardandolo dritto negli occhi «ti è andata bene, te la sei scampata! A quell’epoca non c’interessavi sennò finivi male...Ci interessava solo lui...». Eppoi: «Ti hanno messo a San Giovanni in Fiore...e qua io ti potrei gacciare (prendere a colpi d’ascia n.d.r.) perché nessuno può fare niente se non lo so pure io...». Come dire: devi ubbidire e basta.

“Nicolino” Grande Aracri non era uno qualsiasi. Secondo il l pentito lametino Giuseppe Giampà (figlio di Francesco Giampà detto “il professore”) nel 2013 poteva essere considerato il “capo crimine” dell’area centro-settentrionale della regione. Il collaboratore di giustizia Vittorio Spadafora ha fornito in questa inchiesta molti particolari sulle attività della ’ndrina guidata dal germano in relazione pure ai contatti istituzionali, politici e imprenditoriali intessuti negli ultimi anni. I verbali con le sue confessioni sono ancora in parte coperti dagli “omissis”. Francesco Oliverio, invece, ha già detto tutto quello che sapeva raccontando i particolari di un delitto compiuto personalmente, quello del macellaio di San Giovanni in Fiore, Domenico Silletta, ucciso e bruciato tra i boschi nel 2007

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