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Cosenza applaude Matteo Garrone e il suo ‘Io capitano’: “Ho soltanto
raccontato la vita”

In occasione della “Primavera del Cinema italiano” che si tiene nella Città dei bruzi: «Una storia vera, documentata. Capovolgendo la prospettiva: dall’Africa verso l’Europa»

Matteo Garrone, Massimo Galimberti e Giuseppe Citrigno

E mentre gli sbarchi sulle nostre coste si susseguono e, di pari passo, nei dibattiti televisivi va in scena l’annoso rimbalzo delle responsabilità su morti, fame e miseria che avvolgono i viaggi della speranza dei migranti, ecco Matteo Garrone e il suo “Io capitano”. Il regista romano è stato ospite ieri sera sul palco del cinema Citrigno per la Primavera del Cinema Italiano, e Cosenza gli ha portato fortuna. Pochi istanti prima di apparire e colloquiare con il pubblico, presenti il direttore artistico Massimo Galimberti e l’ideatore e presidente Anec Calabria Giuseppe Citrigno, ha ricevuto la notizia della candidatura agli Oscar di “Io capitano”. «Una notizia che ci riempie di gioia – ha affermato Garrone – e siamo molto orgogliosi. Faremo del nostro meglio per arrivare più in alto possibile. E siamo molto fiduciosi sul fatto che possa essere distribuito anche nelle sale americane».
Con “Io capitano”, il cineasta non ha la pretesa di prendere posizione su un tema così caldo e attuale. Rimane ben saldo sui binari della sua consueta cifra stilistica e regala una prospettiva nuova sia rispetto al già visto al cinema e in tv, sia alla narrazione di genere, ribaltando lo sguardo classico della macchina da presa e puntandolo decisamente sul viaggio dei due protagonisti, su di loro, dalla loro prospettiva. Il viaggio è un po’ un sogno. Cercare una vita migliore, affacciarsi su orizzonti crepuscolari velati di quel rosso che schiude le porte alla speranza di un futuro più soddisfacente. Si sprecano i paragoni con l’epopea omerica. È viaggio di formazione. Stavolta, nella trama non c’è fuga da disperazione, fame, guerra. Seydou e Moussa sono due ragazzi senegalesi dei giorni nostri con tanta voglia di migliorare le loro condizioni di vita. Con una mamma che cerca di dissuaderli e uno sciamano che concede loro il via libera coronando sei mesi di lavoro con cui i due giovanotti, in gran segreto, hanno messo da parte i soldi per partire. La svolta alle loro giovani vite passa per l’approdo in Europa, una terra che hanno imparato a conoscere dai mezzi di comunicazione, dalla forza dirompente della globalizzazione. E qui Garrone decide di non esplorare oltre le motivazioni, e prende le mosse dall’esperienza personale di tre mesi consumata a stretto contatto con tanti ragazzi africani che molto semplicemente, ha affermato il regista, «non riescono a comprendere come altri coetanei, che spesso parlano la loro stessa lingua, possono venire liberamente in vacanza in Africa, mentre loro non possono andarsene in Europa».
Così inizia a seguirli lungo il tragitto impervio che conduce alle “coste promesse”. Senza tralasciare le difficoltà che comporta attraversare il deserto in determinate condizioni, l’esperienza con i centri di detenzione in Libia. E poi il mare, l’imbarcazione di fortuna, il ritrovarsi capitano/scafista (Seydou) di una ciurma senza aver minimamente immaginato che potesse accadere, senza pensare alle conseguenze che tutto ciò potrebbe comportare, senza saper nuotare. Nei momenti ardui, il viaggio diventa narrazione fiabesca. Irrompe la dimensione onirica per stemperare la tensione della realtà. Perché è pur sempre una fiaba. Perché è pur sempre Matteo Garrone.

In un racconto del genere, è facile rimanere intrappolati della retorica... cosa l'ha salvata?

«Il fatto di aver raccontato una storia vera, autentica, documentata. Con attori e comparse che avevano vissuto alcuni di quei frangenti. Eppoi, il punto di vista. Abbiamo capovolto la macchina da presa e raccontato il viaggio, l’esperienza, dall’Africa all’Europa».

Dimensione onirica e realtà, ingredienti ideali per una favola, ma la fine del viaggio di Seydou e Moussa sembra accogliere un lieto fine che è ancora tutto da guadagnare...

«Il lieto fine è legato a Fofana, un ragazzo che è riuscito a salvare 250 persone ed è reale, oggi vive in Belgio».

I protagonisti non fuggono da miseria, disperazione o guerra, la loro esperienza può essere accostata a fenomeni migratori diversi da quelli della popolazione africana?

«Sì, la sostanza è comune a tutti quelli che cercano nuove opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita. E noi lo capiamo. Siamo italiani».

Oltre al Leone d’argento, a Venezia il Leoncino d'oro assegnato a “Io capitano” dalla giuria di studenti penso sia una bella soddisfazione...

«Sì, ho raccontato la vita e ognuno trae il proprio messaggio, non voglio dispensare io, dei messaggi».
Stasera, il cartellone della Primavera del Cinema Italiano propone due docufilm: alle 18, al cinema Citrigno «Pino Daniele - Il tempo resterà» e alle 20 «Enzo Jannacci, Vengo anch’io» di Giorgio Verdelli. Domani, giornata dedicata ai Corti, alle 18.30, al cinema Citrigno, con un incontro dibattito e la proiezione di alcuni corti. Alle 20.30, per la sezione docufilm, Il cinema nel pallone, «Paolo Rossi. L’uomo. Il campione. La leggenda» di Michele Scolari.

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