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L'ergastolo al boss degli zingari di Cosenza e la statua miracolosa

Il boss Maurizio Rango

La “Nuova famiglia”: si chiama così il clan mafioso che ha operato dal 2012 in avanti a Cosenza accanto alle cosche storiche. Un clan disarticolato dalla Dda di Catanzaro per mano dell’allora pm e oggi procuratore di Paola, Pierpaolo Bruni.

L’esistenza della consorteria criminale è stata definitivamente acclarata, in via giudiziaria, dalla Corte di Cassazione che l’altra sera ha confermato la condanna di trenta persone che ricoprivano ruoli ben individuati all’interno del sodalizio.

La pena maggiore è stata inflitta al capo, Maurizio Rango, che dovrà scontare l’ergastolo perché ritenuto mandante e organizzatore dell’agguato costato la vita sette anni fa a Luca Bruni, “reggente” dell’omonimo clan, eliminato dalla scena delinquenziale proprio per consentire l’avvento della “Nuova famiglia”.

I complici di Rango nel delitto, Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna e Franco Bruzzese hanno scelto di collaborare con la giustizia e sono stati giudicati in via definitiva per il crimine.

Il boss, invece, ha resistito alle sirene del pentitismo sperando forse di scampare a un destino che sembrava al contrario ampiamente segnato. Maurizio Rango, legato alla criminalità nomade, aveva legami con personaggi politici nella veste di procacciatore di voti, con esponenti delle forze dell’ordine da cui riceveva informazioni, ma non sapeva d’avere in casa una “cimice” che registrava ogni parola.

E quella microspia gli ha procurato una bella serie di guai che lo costringerà adesso a rimanere in cella per il resto dell’esistenza. A Cosenza, tuttavia, il padrino sarà ricordato non solo per le imprese delinquenziali portate a termine ma pure per lo strumentale abuso della credulità religiosa popolare.

Già, perché nello slargo di fronte casa sua, in via degli Stadi, Rango fece esporre una statua “miracolosa” di San Francesco di Paola che sosteneva d’aver visto più volte lacrimare.

Per settimane, l’icona in gesso del Patrono della Calabria che aveva il volto rivolto verso il balcone dell’abitazione del boss, è stata oggetto d’un silenzioso pellegrinaggio di fedeli. Poi, Maurizio Rango è finito in galera e la richiesta di “grazie” è cessata di colpo.

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