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Il clan degli zingari di Cassano alla conquista di Castrovillari

Uno degli incendi appiccati a Castrovillari dal gruppo degli zingari di Cassano

C’è l’ombra della ’ndrangheta sugli incendi e le intimidazioni che lo scorso ottobre misero a ferro e fuoco l’area del castrovillarese per quasi un mese. Per come emerso in queste ore, già da alcune settimane, le carte dell’operazione “Nerone” sono state trasmesse dalla Procura di Castrovillari alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.

Una ulteriore conferma di come gli incendi fossero di matrice mafiosa. L’operazione, condotta dalla Procura di Castrovillari, fece emergere come fossero i cassanesi a gestire il racket delle estorsioni alle imprese di Castrovillari. I cinque arrestati nell’operazione “Nerone”, infatti, sono tutti residenti a Cassano centro o nella frazione di Lauropoli.

Cosimo Abbruzzese (detto “Cocò”), 28enne, Francesco Abbruzzese, 23enne, Salvatore Lione, 23enne anch’egli, Fabiano Falcone, di 26 anni, e Francesco Cavaliere di 34, sono giovani rampolli e tutti gravitanti intorno al clan degli Zingari.

I due Abbruzzese, in particolare, ritenuti i mandati e gli organizzatori del giro di estorsioni bloccato lo scorso ottobre dagli inquirenti, sarebbero figli d’arte. I due Abbruzzese, in particolare, ritenuti i mandati e gli organizzatori del giro di estorsioni bloccato martedì dagli inquirenti, sarebbero figli d’arte. Francesco, incensurato, è il figlio di Fioravante, uomo di spicco del clan ucciso il 3 ottobre del 2002 vicino l’ospedale di Cassano insieme a Eduardo Pepe.

L’episodio segna l’inizio della guerra di mafia tra il clan di Timpone Rosso e i Forastefano per controllo della Sibaritide e del Pollino. Uno scontro armato senza tregua tra le due fazioni criminali che culminò proprio con l’uccisione di Fioravante Abbruzzese. Secondo quanto ricostruito allora dagli inquirenti, tre persone si sarebbero appostate a bordo di una Lancia Thema lungo la Provinciale Cassano-Lauropoli, col volto coperto e armati di un fucile, una doppietta calibro 12 e una pistola calibro 9x19 caricata a proiettili 9.21. Pepe e Abbruzzese, invece, erano a bordo di una Smart, affiancata e crivellata di colpi.

La mattanza dei capi degli Zingari che rompe la tregua nuova tra i due clan continua l’8 giugno del 2003 con l’omicidio di un altro pezzo da novanta. A mezzogiorno, pochi metri dall’allora stazione dei carabinieri, dove si recava a firmare, viene freddato a colpi di kalashnikov, il quarantatreenne Nicola Abbruzzese, padre di Cosimo, altro fermato martedì dai carabinieri, di stanza nel rione “Timpone Rosso”, colui che, per gli inquirenti, tirava le fila, dopo l’arresto di Franco Abbruzzese, alias “Dentuzzo”, e la morte di Eduardo Pepe e Fioravante Abbruzzese.

In città era giorno di mercato, spostato proprio in quella zona da pochi mesi. Poteva essere una strage. A bordo della Ford Focus su cui viaggiava Nicola Abbruzzese vi erano anche il figlio Manuel, che rimase ferito da un colpo di striscio, e gli altri due figli, che rimasero illesi. I killer non si fermarono nemmeno davanti ai bambini. La vittima era eccellente perché giocava un ruolo di primo piano.

Nicola Abbruzzese morì perché attinto da quattro colpi di kalashnikov, sparati singolarmente, che lo colpirono alle spalle. Atti e risultanze investigative che giustificherebbero il passaggio dell’inchiesta alla Dda diretta da Nicola Gratteri.

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