Il virus continua a scavare cicatrici nei fianchi di questo nostro mondo sottosopra, una terra di mezzo, sospesa tra la vita e la morte. Dentro e fuori gli ospedali, dentro e fuori le città, i paesi, le contrade. Quel morbo con dolore e sofferenza porta anche una difficile ripresa. E porta la morte. Il Covid fa male a chi lo incontra, a chi lo sfiora, a chi si affaccia davanti ai macchinari delle terapie intensive per sentire il respiro sfumato dentro quei corpi consumati da giorni di malattia e solitudine nelle corsie. Non ci sono figli accanto, non ci sono mogli, parenti o amici in quelle stanze. C’è solo il patogeno che si fa sentire con dolori atroci mentre accorcia le vite. E, allora, quei disperati s’aggrappano a medici, infermieri e operatori sociosanitari che diventano padri, fratelli e figli in quelle ore di rassegnazione. Nell’ospedale la morte è silenziosa, arriva all’improvviso. In Rianimazione lo anticipa quel suono che diventa colonna sonora della tragedia. Ogni volta è così, i medici corrono ma è una corsa inutile. Come è successo altre sei volte ieri tra area critica e degenza. Sei decessi (1 in Rianimazione, 1 in pronto soccorso e 4 in reparto) che nutrono una statistica impressionante, un quadro drammatico dopo la svolta di novembre.
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