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Femminicidio di Montalto, l’ex poliziotto sceglie di non rispondere al Gip

Maurizio Abate è indagato per la morte della 22enne Lisa Gabriele di Rose

L'ex poliziotto Maurizio Mirko Abate

La strategia del silenzio. Maurizio Mirko Abate, 50 anni, l’ex poliziotto accusato di aver sedato e ucciso la ventiduenne di Rose, Lisa Gabriele, ha scelto davanti al Gip di avvalersi della facoltà di non rispondere. La vittima venne ritrovata senza vita in un boschetto di Montalto Uffugo, il 9 gennaio del 2005. Per impedire l’avvio di indagine venne organizzata una messinscena con lo scopo di far credere che la ventiduenne si fosse tolta la vita. La procura di Cosenza, diretta da Mario Spagnuolo, ha riaperto le indagini nel 2019 dopo la ricezione di una lettera anonima. Le indagini, condotte dai carabinieri, hanno portato all’arresto del cinquantenne nel frattempo radiato dalla Polizia.
Gli avvocati Marco Facciolla e Francesco Muscatello, difensori di fiducia dell’ex poliziotto, dopo l’audizione davanti al Gip, hanno spiegato: «Abate si è avvalso della facoltà di non rispondere in forza di una precipua scelta operata dai difensori in correlazione all’estrema ampiezza dell’incartamento investigativo – che abbraccia anche l’originario fascicolo di indagine aperto nell’immediatezza dei fatti e poi archiviato - ancora non oggetto di compiuta disamina poiché in attesa di autorizzazione al rilascio delle relative copie da parte del Magistrato. Dovendosi, pertanto, allo stato confinare le valutazioni alla sola portata contenutistica dell’ordinanza applicativa del rimedio cautelare» continuano i penalisti, «è possibile affermare che depongono a favore della prospettazione accusatoria meri sospetti o, comunque, elementi di indiziari deboli ed equivoci, tali da assecondare distinte, alternative, se non addirittura, contrapposte ipotesi nella ricostruzione dei fatti, difettando riscontri probatori di tipo oggettivo, suscettibili di assumere rilevanza ai fini dell’ascrivibilità del presunto omicidio all’indagato. Si riscontrano, altresì, tra le attività di indagine svolte dall’organo inquirente, gravi lacune investigative rispetto a percorsi di indagine alternativi, pure citati dal Giudicante e che risulterebbero esperibili sulla scorta degli stessi elementi fattuali posti a base dell’ordinanza cautelare. È data, infine, constatare l’assenza di elementi probatori materiali, oggettivi ed individualizzanti, risultando il provvedimento supportato in via prioritaria da fonti dichiarative che, tuttavia, non offrono alcun contributo rispetto all’effettivo coinvolgimento dell’indagato nel reato contestato che, semmai, parrebbe essere escluso anche dagli accertamenti tecnici e scientifici condotti giacché non posti a supporto del provvedimento custodiale e rispetto ai quali si esprime, comunque, ampia riserva di approfondimento dei relativi esiti allorquando conosciuti. Sotto il profilo delle esigenze cautelari, preme allo stato soltanto affermare che - sebbene fosse notoria la sottoposizione dell’Abate ad indagini, atteso anche l’ampio risalto mediatico suscitato dall’esposto anonimo che lo indicava quale responsabile del delitto - egli giammai ha inteso rendersi irreperibile, tantomeno ha dato corso ad interferenze con l’attività d’indagine, a riprova dell’assoluta linearità e serenità di condotta rispetto ai fatti che lo vedono ingiustamente coinvolto. In tale prospettiva» continuano i legali «e nella piena convinzione dell’innocenza dell’indagato rispetto a fatti ai quali egli è del tutto estraneo, verrà adito nei tempi di legge il Tribunale della Libertà, auspicando una rivisitazione della posizione dell’Abate e che la ricerca della verità non venga prevaricata dalla spasmodica tensione all’individuazione di un capro espiatorio per appagare una pur legittima pretesa di giustizia dei familiari della vittima, oltre che della collettività, rispetto ad una vicenda che, allo stato, rimane ancora tutta da chiarire».

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