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San Lucido, gli uomini del clan Calabria-Tundis insegnavano a sparare anche ai bambini

I malviventi avevano un’ampia disponibilità di armi. Sequestrata anche una pistola placcata in oro

Gioventù bruciata, tra armi e droga. Anche i ragazzini dovevano imparare a sparare. È quanto emerge dalla conversazione intercorsa tra uno degli indagati dell’ultima operazione della Dda di Catanzaro tra Paola e San Lucido e la nipote minorenne. Se le armi per la ’ndrangheta sono simbolo di potere, la droga ne rappresenta la ricchezza. Nell’inchiesta congiunta dei Carabinieri di Cosenza e della Compagnia di Paola alla quale ha preso parte anche il nucleo dei Cacciatori di Vibo che è stata coordinata dalla Procura antimafia di Catanzaro ha portato al sequestro di un discreto arsenale di armi (quattro fucili, di cui uno a canne mozze e uno a pompa, e 200 munizioni) e circa 300 grammi di cocaina. La droga era stata abilmente occultata nelle abitazioni di due indagati (Pietro Calabria e Michele Tundis). I soggetti beccati dagli specialisti dell’Arma dovranno rispondere in seguito anche di queste contestazioni.
A riguardo delle armi la recente indagine ha accertato come il gruppo criminale ne disponga in buon numero.
I maggiorenti della cosca è stato appurato si rifornivano facilmente di armamenti. Veniva con facilità anche acquistato il materiale esplosivo che sarebbe poi servito a compiere atti intimidatori.
Polvere da sparo in grandi quantità e in grado di far deflagrare anche una autovettura. La detenzione degli armamenti era finalizzata a realizzare il controllo del territorio incrementando la pericolosità del gruppo e permettendo ai sodali di perpetrare atti intimidatori e attività illecite. Tra le armi – emerge dall’inchiesta – anche una pistola placcata in oro.
Il vero e proprio arsenale era stato rinvenuto tuttavia anni fa all’interno di un sottotetto di una abitazione nel centro storico di Paola dove ricordiamo vennero portati alla luce munizioni, pistole e fucili. Molte armi – che sono oggi oggetto di indagine – tuttavia non sono state ancora rinvenute. I detentori delle stesse ne parlavano senza difficoltà e con smisurato orgoglio al telefono.
Armi di cui i criminali ne spiegavano l’utilizzo anche ai nipoti minorenni. Saranno forse poi loro a doverle impugnare in futuro per difendere l’onore delle cosche. «Spara verso di là, vedi che fa la botta, prendila nelle mani».

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