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Rende, giù il sipario. Ma la Giunta non s’arrende

La maggioranza preannuncia ricorso: «Non abbiamo nulla da temere, ingiustizia è fatta». Talarico: «Responsabilità di Manna». I principiani: «Mortificazione che Rende non meritava»

Tristezza, indignazione, vergogna. Stati d’animo pressoché unanimi, quelli della politica rendese dopo lo scioglimento del Consiglio comunale. La decisione del Ministero è un fatto mai accaduto a queste latitudini. Nella città che ospita l’Università della Calabria, tra l’altro. Ad ogni modo, l’attuale governo cittadino pare non voglia arrendersi: questa mattina è stata convocata la giunta per approvare alcune delibere sui fondi Pnrr, quasi non fosse successo nulla.

Giunta e maggioranza

«Oggi, come ieri, non abbiamo nulla da temere», ribadisce l’amministrazione comunale in una nota. «Abbiamo sempre agito con trasparenza per il bene comune, per la nostra città. Dimettersi – questo sia chiaro a chi oggi canta vittoria, disconoscendo le basilari norme del diritto e senza rendersi conto del danno fatto a questo municipio – non avrebbe cambiato il corso di una storia, purtroppo già scritta. Ingiustizia è fatta: con amarezza dobbiamo constatare che a queste latitudini la storia è difficile da cambiare. Non appena conosceremo le motivazioni di tale provvedimento, intraprenderemo ogni azione legale necessaria a ripristinare la verità», sottoscrivono Giunta, Presidente del Consiglio Comunale e Consiglieri di maggioranza (Concetta Brogno, Rachele Cava, Marisa De Rose, Salvatore Esposito, Palma Fanello, Giovanni Gagliardi, Marco Greco Chiara Lolli, Saverio Marasco, Romina Provenzano).

L’anatema di Talarico

Il primo a intervenire è stato il consigliere d’opposizione Mimmo Talarico: «La responsabilità politica di quanto è accaduto è evidente, quella penale e amministrativa l’accerteranno le competenti magistrature. A noi di AttivaRende rimane l’amara soddisfazione di aver lanciato anzitempo l’allarme e di aver fatto tutto il possibile per evitare l’ingente danno provocato alla città». Per lui, il decreto di scioglimento non è stato infatti un fulmine a ciel sereno, ma «l’atto finale di un lungo e dolente percorso di cui l’ex sindaco porta le maggiori responsabilità».

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