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Impero della droga nel Cosentino, i cinesi: “Noi prigionieri della fabbrica della marijuana”

I tre orientali non solo sarebbero stati obbligati a restare giorno e notte all’interno dell’immobile, ma hanno raccontato che erano tenuti sotto controllo con un sistema di videosorveglianza

C’è una storia personale, a tratti anche tragica, drammatica, che riguarda i tre cinesi, arrestati a Castrovillari al termine dell’operazione – condotta dai poliziotti del Commissariato di Corigliano Rossano e della squadra mobile di Cosenza – che ha smantellato la rete calabrese della fabbriche della marijuana. Qualora i fatti raccontati dai tre indagati – Yizhang Shi, 47 anni (difeso dagli avvocati Vincenzo Guglielmo Belvedere e Kevin Esposito), Yinfang Tan, 32 anni, Wei Wang, 36 anni (difesi dall’avvocato Domenico Bove – dovessero trovare conferma, si aprirebbe un capitolo inedito e peculiare all’interno della trama investigativa e giudiziaria tessuta dai magistrati della Dda di Catanzaro.
I tre, che ieri sono comparsi davanti al gip Simone Falerno (che ha convalidato l’arresto in carcere) hanno raccontato d’aver risposto a un annuncio di lavoro, pubblicato su un giornale cinese, e d’essersi trasferiti nella cittadina del Pollino, credendo di svolgere una normale attività per uno stipendio di circa cinquecento euro al mese. Invece lì, in quel grande capannone, nella zona industriale di Castrovillari – sempre secondo il racconto – c’era in agguato uno strano destino. I tre orientali non solo sarebbero stati obbligati a restare giorno e notte all’interno dell’immobile, ma hanno raccontato che erano tenuti sotto controllo (da chi non è stato specificato, data anche la difficoltà a esprimersi in italiano) con un sistema di videosorveglianza. Se i fatti fossero veramente questi, l’indagine, coordinata dalla Dda di Catanzaro, oltre a far luce sulla rete di produzione della marijuana sul territorio calabrese, avrebbe anche spezzato le “catene” dei tre presunti.

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