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L’antico asse del male tra ‘ndranghetisti e camorristi: i rapporti tra Cutolo e De Stefano

L’asse del male tra Campania e Calabria. Il “capo” di Antonio Pignataro, era Raffaele Cutolo, detto “il professore”. Un uomo intelligente, cinico e spietato che aveva fondato la Nuova Camorra Organizzata reclutando dietro le sbarre decine di camorristi ch’erano senza “padrone”. “Don Raffaè” diceva a ciascuno di loro che la Campania doveva andare ai campani e non essere una “colonia” di Cosa Nostra siciliana. I fratelli Nuvoletta, infatti, erano legati alla mafia siciliana con la quale facevano affari.
Cutolo preferiva i calabresi perché con la Calabria aveva un legame particolare: era stato infatti “battezzato” ‘ndranghetista da Egidio Muraca, storico padrino lametino, durante un periodo di comune detenzione. Nel tempo aveva poi sviluppato un solido rapporto di amicizia con Paolo De Stefano, divenuto padrino incontrastato di Reggio dopo un omicidio fatto eseguire proprio dal “professore” di Ottaviano. Due sicari del capo della Nco uccisero a coltellate, nel 1976, nel carcere napoletano di Poggioreale, don Mico Tripodo, capobastone di Sambatello e nemico giurato di De Stefano. Eliminato dalla scena Tripodo, Paolo De Stefano vinse la guerra contro i vecchi boss assurgendo al ruolo di “capo” della città dello Stretto.
Al “professore” piaceva così tanto la ‘ndrangheta da averne mutuato simbologia e gerarchia all’interno della sua “creatura” criminale. Una “creatura” che, in pochi anni, aveva preso il controllo non solo del capoluogo partenopeo ma di tutta la regione. E dalla terra di Partenope la Nco aveva allungato lo sguardo verso l’ultima parte dello Stivale, strutturando sempre più solide alleanze anche in riva al Crati e al Busento . I fedeli luogotenenti del “professore” - Antonio Puca detto “U Giappone”, Franco De Rosa inteso come “u frattauiolo” e Pasquale Scotti “l’ingegnere” - entrarono infatti in sintonia con Franco Pino, boss di Cosenza e con Nelso Basile, mammasantissima di San Lucido. L’intesa favorì i killer cutoliani latitanti che trovarono ospitalità lungo la costa tirrenica Paolana. Nascosti in riva al mare calabrese riuscivano infatti a sfuggire ai rivali della “Nuova Famiglia”. Nel Cosentino mise le tende Sergio Bianchi detto “O Pazzo”, il più feroce sicario della Nco. Il temuto «azionista» sparò pure in Calabria dove uccise, infatti, insieme con il complice Alfonso Pinelli, l'avvocato Silvio Sesti, un bravissimo ed onesto penalista, trucidato nel giugno del 1982 nel suo studio nel capoluogo bruzio. E sempre Bianchi, coi “cumparielli” napoletani, fece sparire Mario Turco e Ines Zangaro, due cosentini legati da una relazione amorosa. Con Bianchi “lavoravano” in Calabria Antonio Russo di Afragola, compare d'anello di Nelso Basile; Nicola Flagiello di Sant’Antimo, cognato del celebre camorrista Puca e, appunto, il già citato Alfonso Pinelli di Napoli. La natura delle intese tra ‘ndranghetisti e camorristi l’ha spiegata proprio l’ex boss Franco Pino. «C’era un tacito rapporto fra le parti. Nel caso in cui servivano i napoletani si usavano i napoletani, poi quando a loro serviva qualcosa, noi ricambiavamo. Francesco Pagano che stava insieme ai campani andava insieme a loro e ricambiava come doveva ricambiare. Parlo di Pagano perchè qualche volta è andato a Napoli a sparare...». A Raffaele Cutolo era pure legato Mario Mirabile cognato del boss di Sibari, Giuseppe Cirillo. Mirabile aveva guidato per un periodo la Nco a Salerno. Poi s’era trasferito in Calabria dove è stato assassinato nell’agosto del 1990.

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