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Scandalo sanitario a Cosenza: nei Pronto soccorso pazienti ammassati in attesa di cure

Le prime linee degli ospedali sotto assedio: impossibile trovare varchi liberi per ricoveri in corsia. Sabato all’Annunziata ambulanze del 118 ferme in coda per 8 ore: non si trovavano più barelle libere

L’ingresso del pronto soccorso all’Annunziata di Cosenza

La sanità dei Pronto soccorso è un racconto che si colora di ombra, una eterna veglia di un tempo che non si trasforma mai, di un intreccio tra sofferenza e sconosciuti eroismi. La sanità dei Pronto soccorso è una maledizione rotolata su medici e infermieri, gli stessi celebrati eroi del Covid che adesso si ritrovano ad affrontare un altro nemico molto più severo e atroce: l’impossibilità di assicurare risposte in tempi rapidi a tutta quella gente che arriva da ogni angolo di questa terra in cerca di cure e assistenza. Non c’è mai posto negli ospedali, tutte le aree mediche sono occupate. Chi finisce in Pronto soccorso rischia di restarci per giorni a meno di sceglie a caro prezzo i centri assistenziali privati o decidere di partire. Succede spesso. E capitato anche nei giorni scorsi a un pensionato che non stava bene, i figli dopo averlo visto per tre giorni fermo nell’inferno della prima linea hanno deciso di spostarlo a Roma. Funziona così perché il piano di rientro con i posti letto negli ospedali ha tagliato anche le speranze di un’assistenza sanitaria per tutti. Certo, la pandemia ha finito per mostrare il fianco scoperto della sanità locale con quei pochi ospedali sopravvissuti alla follia delle sforbiciate del piano di rientro che sono diventati una bolgia senza senso. I pronto soccorso sono covi di rabbia dove si può stare in coda a tempo indeterminato.

Ambulanze in coda

Sabato dalle 8 alle 16 sono finite in lista d’attesa anche le ambulanze del 118 con interventi di soccorso girati, inevitabilmente, ad altre Pet sul territorio. Un cortocircuito perché nel pronto soccorso dell’ospedale hub erano finite anche le barelle e allora non si riusciva a formalizzare la presa in carico del paziente. Difficile spiegare a chi sta male come mai non sia mai facile trovare un’ambulanza vicina in grado di intervenire entro quei 21 minuti che rappresentano il crono medio individuato all’interno dell’intervallo allarme target che definisce i lea. Impossibile spiegare che il ritardo, spesso, dipende dal fatto che il mezzo più vicino si trova in coda all’Annunziata in attesa di “sbarellare” un altro paziente. Impossibile da spiegare, soprattutto, quando ci si ritrova ad affrontare l’ira dei familiari con un malato grave, alle prese con una patologia tempo-dipendente. E così quella corsa contro i secondi non è mai uguale nel Cosentino. Certe volte diventano minuti, spesso si arriva anche ad ore. Dipende.

L’inferno degli Spoke

Non è solo la prima linea dell’“Annunziata” a mostrare i caratteri di un non-luogo con gente ammassata ovunque. Lo scenario è identico in tutti gli ospedali spoke. Anzi, peggio. A Rossano, in particolare, il Pronto soccorso fa... acqua da tutte le parti nel senso che si sono ripetuti negli ultimi tempi allagamenti delle aree di primo intervento con medici e infermieri che si sono dovuti occupare del trasferimento a spalla dei pazienti in altri locali. Nei giorni “normali”, invece, in quegli stessi spazi angusti la malattia diventa, in assenza di privacy, coinvolgimento pubblico. Arrivano malati da tutta l’area jonica e dal Pollino. I “camici bianchi” fanno quello che possono ma ogni giorno ha il sapore di un’impresa impossibile. Si cambia ospedale ma non lo spartito. A Paola, ad esempio, i lavori di ampliamento sono rimasti un’idea. La realtà è ben diversa con 7-8 pazienti ammassati in ognuna di quelle due stanze che s’impregnano di dolore. Ogni giorno ne passano a centinaia e finiscono tutti lì, schiacciati tra quelle mura, tutti insieme, quelli che stanno messi peggio e quelli che stanno messi meglio. Anche a Castrovillari, l’assedio è ininterrotto (di giorno e di notte) e finisce per pesare poi sul lavoro di quei pochi medici che si alternano davanti a tutta quella gente, soprattutto anziani. Al “Ferrari”, poi, c’è il problema dell’impossibilità di prendere in carico i pazienti con fratture perché il reparto di Ortopedia è chiuso, ormai, da tempo.

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