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Cosenza, i contatti dell’ex “primula” Luigi Galizia con i favoreggiatori. Quei nomi che si ripetono nella cronologia dei telefonini

Due telefonini. Adagiati sul comodino della camera da letto. Poche decine di euro e cibo in frigorifero necessario per tirare avanti per tutto il fine settimana.
Luigi Galizia, 42 anni, non aveva armi, né contanti. E neppure documenti d’identità. Viveva da tre mesi come uno spettro inquieto, guardando il mondo dalle finestre in via Castello al civico 7. Pensava di essere fuori dai radar degli investigatori calabresi nel centro storico di Sala Consilina: un dedalo di case, viuzze strette, i balconi che quasi si toccano. L’ideale per tenere sotto controllo la situazione: bastava allungare lo sguardo da dietro le imposte del piccolo soggiorno per accorgersi per tempo di visite sgradite. Il “lupo” lasciava la tana raramente, s’era rasato i capelli e teneva la barba incolta. Con i cellulari - muniti di schede intestate ad “amici” - agganciava le celle locali per parlare con i favoreggiatori. Gli stessi che avevano contattato il proprietario della piccola abitazione per averla in locazione. Pagamento puntuale e cash senza bisogno di sottoscrivere un contratto. Inutile regalare soldi allo Stato. E il locatore aveva accettato di buon grado la proposta come avrebbe ammesso davanti ai carabinieri del colonnello Agatino Saverio Spoto. Certo, non aveva idea di aver dato il possesso dell’immobile all’autore della strage del cimitero di San Lorenzo del Vallo. Al vendicatore che aveva infierito su due donne, madre e figlia, trucidate a colpi di pistola calibro 9 la mattina del 30 ottobre del 2016. Edda Costabile, ex insegnante elementare e la figlia, Maria Ida Attanasio, 53, avevano pagato la colpa d’essere rispettivamente madre e sorella di Franco Attanasio, l’agente immobiliare che nell’aprile di quello stesso anno aveva ucciso Damiano Galizia, amatissimo fratello dell’ergastolano.

I cellulari

La memoria contenuta nella scheda dei telefonini usati dall’ex “primula”, il registro delle chiamate, la messaggeria whatsapp e telegram, sono da 48 ore al vaglio degli investigatori della compagnia di San Marco Argentano del Reparto operativo di Cosenza. Gli “specialisti”, diretti dal tenente colonnello Dario Pini e dal capitano Marco Arezzini, stanno lentamente ricostruendo la ragnatela dei contatti mantenuti dal pluriomicida dal 7 dicembre in avanti. Certi nomi pare si ripetano nella cronologia dei due smartphone rivelando tracce di conversazioni e scambi di messaggi. Il latitante aveva bisogno di parlare e di sapere. Voleva vedere la fidanzata, Debora La Greca, che è andato a trovarlo ignara d’essere monitorata passo passo con rilevatori gps satellitari, microspie e droni. Il suo arrivo nel borgo antico del centro campano ha consentito ai carabinieri d’entrare in azione. Galizia era nascosto nella casa che tenevano da giorni sotto osservazione con telecamere ad alta definizione nascoste a un chilometro di distanza.
La pistola e l’arsenale La calibro 9 utilizzata dall’ergastolano per uccidere le due donne non è mai stata ritrovata. Ma c’è un dato inequivocabile: l’arma era caricata con proiettili provenienti dalla stessa partita di quelli ritrovati dalla Polizia il 26 aprile del 2016 in un box d’una palazzina di Rende. Un box che conteneva un arsenale scoperto grazie a un’imbeccata di Franco Attanasio. L’omicida raccontò agli investigatori che l’immobile era nella disponibilità di Damiano Galizia, l’uomo che aveva ucciso poche ore prima. Pure la pistola usata dal “vendicatore” proveniva originariamente da quello stock di armi?

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