
Il calciatore dimenticato. È un caldo giorno di luglio del 1983. Salvatore Bennardo, calciatore, sta tornando da una trasferta. E’ in auto e sta rientrando a Cosenza. Due killer sono in agguato ma non per uccidere lui ma un boss rivale. Nell’area urbana bruzia è in corso una guerra tra clan che ha già fatto decine di morti. La cosca guidata da Franco Pino si scontra da tempo con la consorteria rivale dei Perna-Vitelli-Pranno. All’origine del conflitto vi è l’uccisione del capo storico della ‘ndrangheta cosentina, Luigi Palermo, detto “un zorru”, avvenuta nel 1977 ad opera proprio del gruppo Pino. Bennardo non ha nulla da spartire con l’infuocato contesto è solo uno sportivo, pieno di amici, che ha dimestichezza col pallone. Quel giorno però alla partita in trasferta s’è aggiunto un uomo ritenuto vicino al sodalizio mafioso contro cui “occhi di ghiaccio” (Franco Pino) sta combattendo.
Due sicari hanno l’incarico di farlo fuori, gli hanno segnalato l’auto su cui viaggia che non è la stessa su cui siede Salvatore Bennardo. Nella zona di San Fili, mentre le auto sfilano loro davanti i sicari puntano i fucili e fanno fuoco, sbagliando bersaglio. La vittima predestinata si salva e muore il giovane calciatore. In tanti a Cosenza e Rende comprendono subito che l’altleta è una vittima incolpevole: Bennardo è morto per errore, ma nessuno parla. Solo nel 1995 con la maxioperazione “Garden” che disarticola per la prima volta in maniera significativa i clan dominanti nell’area urbana bruzia, si conosceranno i retroscena della vicenda. Saranno prima Roberto Pagano, ex killer e, poi, il boss Franco Pino decisosi a collaborare con i pm antimafia di Catanzaro, a raccontare cosa è accaduto quel giorno di luglio. Finiranno a giudizio due persone per il delitto ma saranno assolte con sentenza poi passata in giudicato.

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