Ergastolo. La Corte di assise di appello di Catanzaro, presieduta da Gabriella Reillo, ha confermato la condanna al carcere a vita per Cosimo Donato e Faustino Campilongo, entrambi di Firmo, accusati di concorso nella cosiddetta strage di Cassano. Nel gennaio del 2014, le cosche dominanti nella Sibaritide sentenziarono la morte di Peppe Iannicelli, un narcotrafficante che voleva rendersi autonomo nell’area dell’arberia cosentina, tra Firmo, Lungro e Acquaformosa.
Iannicelli venne attirato in una trappola da Cosimo Donato e Faustino Campilongo e ucciso da almeno altri due killer. L'uomo era insieme alla sua bella compagna marocchina, Betty Toussa, e al nipotino, Cocò di soli tre anni. I cadaveri delle tre vittime vennero lasciati bruciare tra le lamiere di una Fiat Punto. A incastrare Donato e Campilongo le articolate investigazioni dei carabinieri del Ros, coordinati dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri.
Nel dibattimento di seconda istanza la pubblica accusa è stata rappresentata dal sostituto procuratore generale Salvatore Di Maio che, con una lunga e articolata requisitoria, ha ricostruito peedissequamente tutti i passaggi della tragica vicenda mettendo in luce il ruolo centrale svolto da Donato e Campuilongo.
A seguito dell'uccisione del piccolo Cocò, Papa Francesco decise di compiere, nel giugno di quello stesso anno, una visita in Calabria e, in particolare, nei luoghi dove il bimbo era stato assassinato insieme con il nonno e la donna nordafricana. Nell'occasione, incontrando nella Piana di Sibari una immensa folla formata da più di 250.000 fedeli, il Pontefice per la prima volta nella storia drlla Chiesa cattolica "scomunicò" tutti i mafiosi.
Cocò Campolongo aveva gli occhi vispi e curiosi. Parlottava sempre con gli amici del nonno che s’avvicinavano a salutarlo e mostrava d’essere, in genere, affettuoso e socievole con gli estranei. Quando il killer gli ha puntato la pistola alla testa, il bimbo (aveva solo tre anni) credeva che volesse giocare. L’assassino, invece, non solo l’ha ucciso con una pallottola esplosa a bruciapelo ma, poi, insieme con il complice ne ha bruciato il cadaverino.
Nessuno mai, prima di allora, aveva fatto scempio così di un bambino nella Sibaritide. È per questo che Jorge Bergoglio, vescovo di Roma e capo della chiesa cattolica, decise nel giugno successivo di scendere in Calabria per “scomunicare” gli uomini della ’ndrangheta. "I mafiosi" urlò Papa Francesco davanti a una sterminata folla di fedeli "sono fuori dalla Comunione con Dio". Neppure Papa Giovanni Paolo II era stato così durò con gli uomini delle cosche. Cosimo Donato e Faustino Campilongo indicati come diretti concorrenti nella esecuzione del feroce crimine e condannati all'ergastolo in primo e secondo grado di giudizio, sono difesi dagli avvocati Ettore Zagarese, Mauro Cordasco e Vittorio Franco.
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